"Chi vince, governa. Anche se sarà la Meloni"

Il leader Pd: "Centrodestra vittimista, limiterà le libertà. Renzi? L'Italia deciderà quanto vale la sua parola..."

"Chi vince, governa. Anche se sarà la Meloni"

Con Enrico Letta siamo su due pianeti diversi. Eppure ha un senso sapere perché ha radicalizzato molto la campagna elettorale, perché ha ritirato fuori dal cassetto i fantasmi del passato, perché è convinto che Renzi non sia un uomo di parola. Il lato positivo, però, è uno solo ed è nell'ultima domanda. Gli chiedi se riconoscerà la vittoria dell'avversario senza puntare alla sua delegittimazione nel Paese e a livello internazionale: «Chi vince governa, è la democrazia dell'alternanza». Speriamo che non siano solo parole.

Segretario, la campagna elettorale ha assunto caratteri violenti. I partiti del centrodestra lamentano aggressioni. Ritirare fuori argomenti come il fascismo, utilizzarlo contro la Meloni, non rischia di riportare il Paese indietro di quarant'anni? O lei crede davvero che ci sia un pericolo autoritario dietro l'angolo? In fondo uscite da un'esperienza di governo comune con buona parte del centrodestra, per cui non si possono trasformare di nuovo gli avversari in nemici della democrazia, non crede? Per non parlare delle tante occasioni in cui lei ha dialogato con la Meloni in questi anni, al punto che qualcuno vi ha paragonato a Sandra e Raimondo...

«Andiamo con ordine. Ogni episodio di violenza e ogni minaccia vanno condannati con forza. È stato fatto. Mi sembra pleonastico doverlo rimarcare. Rilevo che il vittimismo della destra si conferma un leit motiv delle campagne elettorali. In questa ha assunto tinte un po' più esasperate del solito, ma ci abbiamo fatto l'abitudine. Alle letture false invece no, non ci abituiamo. Nessuno nel Pd ha speculato sul fascismo. E se i casi di esponenti Fdi nostalgici o apertamente inneggianti al fascismo si moltiplicano sulla stampa, certo non è responsabilità nostra. Con Meloni abbiamo un rapporto civile da avversari politici. E i toni sono reciprocamente ruvidi. Ci sta, quando si è espressione di due visioni del Paese e del mondo radicalmente opposte. La polarizzazione è nei fatti, nelle sensibilità, nelle storie personali. Ma il rischio che io segnalo non è tanto per le nostalgie del passato quanto per i proclami sul futuro. Dismessa la maschera del moderatismo, Meloni torna in queste ore quello che è davvero: antieuropeista, amica dei postfranchisti spagnoli di Vox, legata da una lunga comunanza politica con Orbán. È questo - e la deriva che sottende - che mi preoccupa».

Ieri il cancelliere tedesco ha parlato di pericolo post-fascista se vincesse la Meloni. C'è stata tutta la polemica del rapporto dei servizi segreti americani sui finanziamenti di Putin che, almeno per quanto riguarda l'Italia, si è sciolta in un bicchier d'acqua. Addirittura l'endorsement di Trump a Conte. Non le pare che la campagna elettorale si sia trasformata in una campagna di ingerenze esterne che non fanno certo bene all'immagine del Paese a livello internazionale?

«Io da Scholz, che è espressione di un partito alleato del Pd, sono andato per parlare anche dei nostri interessi nazionali, per fare fronte comune e arrivare al più presto a una soluzione comune europea sul caro-energia. Con il rischio ingerenze estere c'entra davvero poco. Di esse hanno parlato peraltro il Parlamento europeo mesi fa e da ultimo, con toni straordinariamente netti, il presidente del Consiglio, Mario Draghi. E in materia ci si riferisce non a legittimi giudizi di leader politici di altri Paesi, ma ai tentativi di condizionamento messi in atto da anni dal regime russo ai danni delle democrazie europee, Italia in testa. Metterli sullo stesso piano è molto grave. A meno che non si ritengano Scholz e Putin alla stessa stregua. A ledere l'immagine del nostro Paese semmai è Matteo Salvini che, ad esempio sulle sanzioni, ripete tale e quale la posizione di Mosca, quasi fosse un copia e incolla dei comunicati della Tass. Lo stesso Salvini che voleva organizzare un viaggio a Mosca a luglio o che ancora non si decide a stracciare il patto politico del 2017 tra la Lega e Russia Unita, il partito di Putin».

Anche la polemica su Orbán forse non dovrebbe far parte della campagna elettorale, visto che si porta dietro una serie di implicazioni. Concordo che l'Ungheria non sia un esempio di democrazia, ma anche Washington osserva che spingere Orbán verso Putin ora sarebbe una follia. Magari varrebbe la pena rivedere le logiche del diritto di veto in Europa. Sul tema ha fatto più guai quello che ha esercitato la democraticissima Olanda sul tetto del gas che non quello fatto da Orbán su alcune sanzioni alla Russia, o no?

«No. Quello che fa guai è il ricatto di Putin all'Occidente. Usa il gas per condizionare le opinioni pubbliche e fiaccare il sostegno all'Ucraina. Diciamolo chiaro e tondo: le bollette le spedisce lui da Mosca. Ciò non toglie che adesso dobbiamo fare il possibile per aiutare le persone a superare questa fase di grande difficoltà. Quindi sì, in Europa c'è bisogno di eliminare i veti per avere più integrazione in molti ambiti, ma no, per favore, non cerchiamo capri espiatori lontani da Mosca».

A proposito di gas, non pensa che ci sia ancora molto da fare per mettere il Paese al riparo dal caro bollette e che forse il governo avrebbe dovuto osare di più? Magari questo è un tema su cui al di là di chi vincerà le elezioni, tutti i partiti dovrebbero ritrovarsi, o no?

«Il governo ha fatto tanto, date le condizioni. E se fosse stato in carica avrebbe fatto molto di più. Ma il governo in carica non c'è perché Conte, Berlusconi e Salvini l'hanno fatto cadere con una scelta scellerata. Dovrebbe chiedere a loro. Quanto alle proposte per mettere al riparo i cittadini dalle bollette, serve il disaccoppiamento tra energia elettrica e gas. Su questo, specie dopo il colloquio ieri a Berlino con Scholz, sono fiducioso che dal Consiglio Ue del 30 settembre arrivi una fumata bianca. Serve poi un tetto nazionale con prezzi amministrati dallo Stato per 12 mesi, serve il raddoppio del credito d'imposta per le imprese energivore, serve la rateizzazione delle bollette già arrivate, serve un contratto luce-gas con prezzi calmierati per le microimprese e le famiglie a reddito medio e basso. E in prospettiva serve un piano serio per le rinnovabili e il risparmio energetico».

Siamo ormai agli ultimi giorni di campagna elettorale. Lei ha provato a polarizzarla in uno scontro tra lei e la Meloni: le è convenuto?

«Con una legge elettorale iper-maggioritaria la polarizzazione è matematica. Dunque, non è una opinione. Vince il primo che compete contro il secondo. E i primi e i secondi siamo noi o la coalizione di destra».

La Meloni ha detto che l'ha colpita quel tweet in cui ha tentato di spiegarle cosa significhi essere donna. Ha le sue ragioni, non crede?

«Sa qual è la differenza? Che se vince il centrosinistra Meloni può continuare a gestire la sua vita di madre, donna, cattolica, italiana come meglio crede. Se vince la destra e chi dice Dio, patria e famiglia, il rischio è veder contratti i diritti individuali, a partire da quelli delle donne. Basta guardare cosa accade nelle Marche sulla 194. Il suo è un modello intrinsecamente patriarcale. Il discrimine tra noi e loro sui diritti della persona è nella parola libertà. E mi stupisce che un liberale come lei non lo consideri dirimente».

In realtà, come ha scritto Alessandro Gnocchi su questo Giornale, i valori di Dio, patria e famiglia furono utilizzati per primo da Giuseppe Mazzini nel Risorgimento. Non sarebbe il caso di smetterla di fare campagne elettorali con gli occhi rivolti al passato?

«La Meloni si dichiara orgogliosamente conservatrice. Che significa conservare quel che c'è, quel che arriva dal passato. È legittimo, ma non si può far finta che non ci sia sottesa una forte matrice reazionaria. Quanto ai giudizi storici, lascerei stare Mazzini e il Risorgimento, le cui pulsioni libertarie poco si confanno all'utilizzo autoritario che nel Ventennio si fece della triade Dio, patria e famiglia».

Perché questa campagna si è svolta in un'atmosfera di vittoria annunciata del centrodestra? Molti le rinfacciano una montagna di errori, addirittura Renzi l'ha definita un agente infiltrato della Meloni per questo motivo. Di fatto è che lei è passato dallo schema del campo largo ad una condizione quasi di solitudine a parte sinistra e verdi. Le colpe sono sue o di altri?

«Allo schema del campo largo avevo il dovere di lavorare fino all'ultimo. L'ho fatto. Sul perché Conte abbia deciso di mandare in frantumi il governo Draghi e un'alleanza che ci aveva fatto vincere due amministrative e tre suppletive di seguito, ognuno si farà la sua idea. La mia è che, specie dopo il primo turno delle Comunali, abbia deliberatamente deciso di ricostruirsi una verginità politica perché in crisi di consensi. Come se il M5s non fosse stato l'unico partito al governo per tutta la legislatura. Quanto a Calenda, l'ha sintetizzato bene Emma Bonino: Un voltafaccia repentino, immotivato e truffaldino. Non servono altre parole».

Aver perso Calenda e Renzi per far posto a Fratoianni e Bonelli, non ha appannato l'immagine riformista del Pd? Tanto più che lei in campagna elettorale si è rifatto spesso all'agenda Draghi, mentre Fratoianni non gli ha mai votato una volta la fiducia. Ma questo epilogo non è figlio pure del dissidio che la contrappone da anni a Renzi? Sembrate i protagonisti di un celebre film di Ridley Scott, «I Duellanti».

«I protagonisti dei film di Ridley Scott sono più interessanti di me e fors'anche di Renzi, nonostante l'alto giudizio che lui ha maturato di se stesso. Io, che forse sono vecchio stile, continuo a credere che, nella politica come nella vita, contino la linearità e le strette di mano. Dopo dieci anni circa di questa storia la domanda che mi faccio è: quanto vale la parola di Renzi? La risposta la daranno gli italiani, io una mia idea di massima ce l'ho».

Conte dice che non riaprirà un dialogo con il Pd con lei segretario. Il Terzo polo, velleitario o meno, sembra veleggiare lontano. Nel suo partito già c'è chi parla di successione. Non rischia di diventare il capro espiatorio di una possibile sconfitta? O c'è un risultato che potrebbe metterla al riparo da un epilogo che la veda sul banco degli imputati per l'insuccesso del Pd?

«Il Pd, a differenza di tutti gli altri soggetti della politica italiana, è un partito vero, una comunità. Che decide tutto - liste, programma, alleanze - in modo collegiale. Quando in questi mesi abbiamo vinto anche sfide difficilissime, lo abbiamo fatto insieme, agendo compatti. Ed è quello che stiamo facendo anche ora, battendo il Paese palmo a palmo per affermare la nostra proposta politica. Non ci disuniamo e non ci disuniremo, glielo assicuro».

Mi indichi una percentuale elettorale che la potrebbe soddisfare.

«Si corre per vincere. Le percentuali le vedremo il 26 settembre».

Crede che l'ipotesi di un governo di larghe intese sia ancora possibile? Se il centrodestra non avrà abbastanza voti per governare si riproporrà il capitolo Draghi?

«La parola definitiva l'ha detta Mario Draghi: no. Chi continua ad evocarlo ha una rimozione della realtà. E non gli fa un buon servigio».

Il centrodestra giudica la riforma della giustizia della Cartabia insufficiente. Renzi è ancora più duro ed è pronto a parlarne con un eventuale governo moderato. Lei su questo tema pensa che non ci sia altro da fare, o sarebbe disponibile ad un confronto?

«Il Pd ha lavorato con determinazione per arrivare all'approvazione della riforma Cartabia. È un risultato virtuoso, un punto di equilibrio che può mettere fine a trent'anni di guerra civile tra giustizialisti e finto-garantisti. Renzi, mentre noi supportavamo gli sforzi del governo e della ministra, sosteneva i referendum sulla giustizia a braccetto con Salvini. A ciascuno le sue battaglie e i suoi compagni di viaggio».

Un'ultima domanda. Chi perderà le elezioni riconoscerà la vittoria dell'avversario, come avviene in ogni democrazia? O comincerà un'opera di delegittimazione interna e internazionale, anche sui mercati, per far saltare l'equilibrio uscito dalle urne? È successo in altre occasioni ed è stata una delle cause della rovina di questo Paese...

«Una delle pochissime cose che ci uniscono, con Giorgia Meloni, al di là del rispetto e della cortesia che ci si

riserva tra avversari, è una visione bipolare della contesa politica. Destra e sinistra. Conservatori e progressisti. Chi vince governa. E io non ho alcuna intenzione di mettere in discussione la democrazia dell'alternanza».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica