Cronache

La chiave in quel buco di 22 minuti. E il buio oltre il guard-rail maledetto

Cos'ha fatto Viviana in quel tempo? E perché ha scavalcato?

La chiave in quel buco di 22 minuti. E il buio oltre il guard-rail maledetto

Viviana Parisi il 3 agosto è al volante della sua Opel Corsa. Ma la sua «corsa» è indecifrabilmente confusa. A suo fianco, in macchina, c'è (c'è?) il figlio Gioele, 4 anni. La vettura ha un piccolo incidente con un furgone: poco più di una «strisciata». Il furgone si ferma qualche metro più avanti; la «mamma-dj» (nome d'arte, Express-Viviana) accosta a bordo del guard-rail. Attenzione a questa parola, guard-rail: è infatti lungo l'orizzonte metallico di questo oggetto di «protezione» autostradale che si crea un gigantesco ingorgo di dubbi. Amplificato da un «buco» di 22 minuti durante i quali Viviana non si sa cosa abbia fatto. Ma partiamo dal comportamento più illogico: perché una donna che ha appena avuto un piccolo incidente stradale, invece di raggiungere subito il mezzo con cui si è «scontrata», scavalca la fascia di sicurezza che delimita la carreggiata dirigendosi verso il nulla? Inconcepibile, tanto più che Viviana lascia in macchina la borsa con dentro il cellulare; attenzione al particolare del telefonino, non è affatto marginale. La sua valenza psicologica denota la chiara volontà di sottrarsi a qualsiasi tipo di controllo esterno. Separarsi dal proprio cellulare significa voler chiudere i ponti con gli «altri» (chiunque essi siano: amici o potenziali nemici), ricacciando la realtà in un botola serrata col lucchetto di un'anima disperata. Quando Viviana oltrepassa il guar-rail la chiave di quel «lucchetto» l'ha gettata via già da parecchie ore, forse da giorni.

La sua è diventata una vita di bugie, raccontate al marito, ai suoi cari. Ma principalmente a se stessa. Viviana vuol convincersi che la «crisi» è superata, il «peggio» è passato. Non è così. Viviana lo sa. O forse no. Ma dentro qualcuno sta «scavando». E sono picconate che fanno male: l'addio al lavoro, il lockdown, un disagio interiore che cresce mese dopo mese. Quel guard-rail diventa allora, idealmente, l'asta di un ostacolo da superare. I testimoni si contraddicono: «Quando l'ha scavalcato era con il suo bambino», racconta una coppia (che la polizia non è più riuscita a rintracciare); «A noi è parso che fosse da sola», sostengono i passeggeri del furgoncino «incidentato». La tecnologia invece di aiutare, complica le cose: una telecamera di sicurezza sembra dare ragione alla prima versione; mentre un'altra videoripresa la smentisce. Gli inquirenti, in mezzo, si affidano agli «appelli»: «Chi ha visto qualcosa, ci contatti». Pessimo segnale. Col rischio di perdere altro tempo prezioso. Se infatti Gioele era con la mamma, bisogna continuare a battere la zona dove è stato ritrovato il cadavere di Viviana; se invece Gioele non era con la madre, le ricerche vanno spostate altrove. Qui, le ipotesi, hanno i contorni dell'enigma: Viviana e il figlio sono stati uccisi da un «mostro»? Viviana ha fatto sparire il piccolo per poi suicidarsi? La sequenza che precede il frame decisivo del guard-rail non aiuta a capire, anzi assomiglia a una pellicola che, sfilandosi dalla bobina, rende il film incomprensibile. Il 3 agosto Viviana Parisi esce di casa a Venetico (Messina) col bambino, diretta a un centro commerciale di Milazzo (dice al marito: «Prendo l'auto, vado a comprare un paio di scarpe »); imbocca invece l'A20 Messina-Palermo ed esce a Sant'Agata di Militello per poi rientraci dopo 22 minuti (cosa accade in questo arco resta un mistero); all'altezza di Caronia sulla A20 ha un lieve incidente, abbandona l'auto e si allontana a piedi; cinque giorni dopo il suo cadavere, quasi irriconoscibile, viene ritrovato a 2 km dal luogo della scomparsa. A sciogliere ogni dubbio sulla sua identità, la fede che porta al dito con il nome del marito e la data del matrimonio. I genitori di Viviana sono sicuri: «Nostra figlia è stata uccisa. Speriamo che almeno Gioele venga trovato vivo».

Poi un'accusa: «Le ricerche sono partite in ritardo».

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