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"La Russa? Non rinneghi il padre"

Il giornalista Battista e il busto del Duce ereditato dal presidente del Senato: "Non lo ripudi"

"La Russa? Non rinneghi il padre"

Pierluigi Battista è uno dei più noti editorialisti italiani. Tra i suoi molti libri ne spiccano due: Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo (Rizzoli, 2007) e Mio padre era fascista (Mondadori, 2016). Nel primo ha riflettuto sulle menzogne e le omissioni che hanno caratterizzato il comportamento della classe intellettuale e politica italiana dopo la caduta del fascismo. Un regime che portava milioni di persone in piazza e che subito dopo la guerra all'apparenza non era stato sostenuto da nessuno. Nel secondo ha sviscerato il complesso rapporto avuto con il padre Vittorio, che invece alle idealità del fascismo era rimasto vicino. Nessuno meglio di lui può sviscerare tutti i cortocircuiti nascosti dietro le polemiche verso Ignazio La Russa. Polemiche innescate dal busto del Duce (in realtà una statuetta) che al senatore è stato donato dal padre e che si è trasformato, visto che La Russa non se ne vuole liberare, in una sorta di «oggetto del delitto», un feticcio che proverebbe l'adesione del Presidente del Senato agli ideali del Ventennio. Ovviamente l'episodio - in sé La Russa ha parlato del busto a un convegno in ricordo di Pinuccio Tatarella e spiegando che «Non lo butterò mai, come non butterei un'opera d'arte di Mao Tse Tung se mio padre mi avesse lasciato quella» è solo l'indizio di un clima e di un modo di intendere l'uso del passato per far politica.

Pierluigi Battista che impressione le hanno fatto le polemiche nate attorno al «busto di Mussolini» che si trova in casa La Russa?

«La premessa che io trovo sconcertante in questa vicenda è che quella che viene fatta è sostanzialmente una richiesta di ripudio. Non si chiede una presa di posizione nei confronti del fascismo... Ma si chiede che una persona, per dimostrare di essere democratica, sputi su una cosa che gli ha regalato il padre. E tutto questo andrebbe fatto davanti alle telecamere. Quello che loro vorrebbero è una sorta di rito di purificazione è una cosa di matrice staliniana».

La Storia e la presa di coscienza della Storia quindi c'entrano poco...

«È una cosa barbarica non c'entra con il dibattito storiografico sul fascismo e sulle sue responsabilità. É un regime verso il quale sia chiaro io non ho nessuna simpatia ma ovviamente questa cosa mi tocca personalmente perché io ho scritto Mio padre era un fascista, ed ho avuto un conflitto forte con mio padre... Ma non si può chiedere a qualcuno di fare un atto di ripudio del proprio padre è come quando nello stalinismo si dovevano denunciare i genitori».

Non ci si accontenta quindi di un ragionamento politico sul fascismo...

«Ma no, quello è stato già abbondantemente fatto sin dal congresso di Fiuggi, lo seguii come giornalista, con il passaggio dal Movimento sociale ad Alleanza nazionale che fu una svolta, vogliamo dirlo, molto più radicale di quanto sia stato il passaggio alla Bolognina dal Partito comunista al Partito democratico della sinistra. Già allora si disse che si riconosceva nell'antifascismo il momento storico in cui l'Italia ha riconquistato la libertà. Parafraso ma questo era il concetto».

Ma allora quale sarebbe una domanda legittima?

«Sarebbe legittimo chiedere una riflessione sul perché uno è stato fascista se lo è stato e adesso perché non lo è più. Ma invece si chiede una sorta di selfie in cui La Russa getti il busto avuto dal padre in una discarica. E questo dovrebbe soddisfare la buona coscienza democratica... Un Autodafé questo sarebbe. Ma poi non basta mai, dopo se ne chiederebbe un altro e un altro».

Diventa una sorta di gogna, di espiazione pubblica...

«Questo è uno dei motivi per cui a lungo in Italia nessuno ha voluto fare i conti con il proprio fascismo. Ecco perché non hanno raccontato la verità tutti gli intellettuali che sono stati fascisti e sono diventati antifascisti dopo. Perché avrebbero dovuto passare attraverso le forche caudine della vergogna. E quindi non si è ricordata la vera storia del fascismo».

Ma questo vale ancora oggi?

«Il sotto traccia è il mantenimento di un clima di allarmismo antifascista che è cosa diversa dall'antifascismo. É questo il punto. Se avesse il busto di Mao nessuno gli direbbe niente. A sinistra c'è chi ha parlato come Goffredo Bettini del ritorno dello spirito del '17 e nessuno gli ha detto niente. A me da fastidio la poca serietà di cose così perché invece dovremmo essere tutti semplicemente antitotalitari. Far finta che siamo alle soglie della marcia su Roma è una falsificazione. Come se non ci fosse stato Renzo De Felice. Definire fascismo qualunque cosa è pigrizia culturale».

Ha accennato prima alla sua vicenda personale, oggi riscriverebbe il libro su suo

padre?

«Il mio libro è uscito nel 2016, ebbe critiche ma una cosa molto civile. Oggi il clima è peggiore, non so se lo riscriverei. Era un richiamo alla complessità delle persone, oggi la complessità non è tollerata».

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