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Cisgiordania, gli israeliani arrestano il capo di Hamas

Hasan Yusef «istigava alla violenza terroristica». Ancora vittime Ucciso in Siria un comandante delle milizie islamiche iraniane

«I leader di Hamas non devono aspettarsi che si permetta loro di promuovere violenza e terrorismo dal comfort dei loro salotti e dai pulpiti delle moschee». Con queste parole il portavoce dell'esercito israeliano, tenente colonnello Peter Lener, ha motivato l'arresto, avvenuto ieri mattina nella cittadina di Betunia presso Ramallah, di Hasan Yusef, sessantenne leader del movimento integralista islamico in Cisgiordania. Yusef non è accusato di fatti precisi ma, sempre secondo le fonti militari israeliane, «di avere istigato attivamente e incitato al terrorismo», nonché di avere «incoraggiato ed elogiato attacchi contro israeliani». Il dirigente di Hamas, arrestato più volte in passato, era uscito l'ultima volta di prigione quattro mesi fa.

Continuano intanto i tentativi di aggressioni ai danni di israeliani: ieri un palestinese è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco dalle forze di sicurezza israeliane, dopo che aveva cercato di investire in auto due soldati di Israele a un incrocio stradale nella comunità ebraica di Gush Etzion, nel sud della Cisgiordania. I soldati hanno sparato dopo che l'uomo, uscito dall'auto brandendo un coltello, aveva tentato di avventarsi su di loro. Un altro palestinese è stato ucciso presso la linea di confine con la Striscia di Gaza durante una violenta manifestazione.

A sorpresa, è giunto ieri in Israele il segretario generale dell'Onu, Ban Ki Moon. Anche lui, come il segretario di Stato americano John Kerry in missione in Europa, vuole tentare di agire per abbassare la tensione, ma come Kerry probabilmente otterrà poco o nulla. La violenza cieca che ha innescato questa cosiddetta intifada dei coltelli ha infatti radici religiose islamiche molto profonde e sarà complicato fermarla.

Le stesse cause hanno acceso i combattimenti che sono in corso ormai a pochi chilometri dai confini settentrionali di Israele e che vedono coinvolte le milizie del «califfato» e le forze iraniane inviate a sostenere il traballante regime siriano di Bashar el-Assad. Ieri in uno di questi scontri ha perso la vita presso Kuneitra Nadir Hamid, un alto comandante delle milizie Basiji, ben conosciuta in Iran dove ha svolto ad esempio azioni repressive di estrema violenza nel corso delle rivolte giovanili contro il regime teocratico di alcuni anni fa. Con la morte di Hamid salgono a 113 i militari iraniani morti fino a oggi in Siria, e l'afflusso da Teheran è in aumento.

Mosca ha invece smentito la notizia, diffusa da fonti lealiste riservate, della morte in combattimento in Siria di tre russi. L'Osservatorio siriano per i diritti umani (una organizzazione dell'opposizione non radicale in esilio con sede a Londra) ha però confermato, precisando che non si tratterebbe di militari regolari ma di «volontari», che sarebbero rimasti ucciso presso Nabi Younis quando un proietto di artiglieria ha colpito una loro posizione. I bombardamenti russi in Siria, al momento passati in secondo piano sotto il profilo mediatico per via della crisi in Israele, continuano senza tregua.

Sempre secondo gli attivisti dell'Osservatorio - in polemica con i comunicati ufficiali di Mosca che negano vittime civili - almeno 370 persone sono morte, tra cui 52 miliziani dell'Isis, in tre settimane di raid russi: 243 miliziani che combattono le forze del regime ma soltanto 52 jihadisti dell'Isis, in teoria l'obiettivo primario degli attacchi.

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