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Civati abbandona il Pd e tenta la fortuna con Landini e Vendola

Il dissidente lascia il partito e attacca la fronda democratica: dicono che l'Italicum è un'eversione e dopo tre giorni parlano di ricucitura

Civati abbandona il Pd e tenta la fortuna con Landini e Vendola

Si può immaginare la scrollata di spalle di Matteo Renzi alla notizia dell'abbandono di Pippo Civati dal gruppo e dal partito. E forse, con la supponenza di Togliatti quando gli riferirono dell'uscita di Vittorini dal Pci, avrà pure sospirato: «Civati se n'è ghiuto e soli ci ha lassato».

Eppure dopo tanto tuonar qualcosa si muove nel cielo plumbeo del Nazareno, e l'addio civatiano costituisce quella crepa nella diga che la minoranza alla Cuperlo, alla Bersani, alla Bindi, alla Boccia ha finora rappresentato per la Ditta. Non a caso, tra le denunce di solitudine di Pippo - che ha sofferto come un cane per una decisione del genere, rimandandola di giorno in giorno, di ora in ora, attraverso lunghi conciliaboli anche privati con la moglie (iscritta di Sel) - ce n'è una che dovrebbe graffiare nelle orecchie del quartier generale di vecchia gestione come monito e chiamata alle armi allo stesso tempo. «C'è chi dice che questa (dell'Italicum, ndr ) sia stata una eversione e poi continua a discutere con Renzi. Anzi oggi parla di cucitura, di riappacificazione dopo neanche tre giorni. Lascia passare una settimana, almeno...». Così Civati davanti alle telecamere di La7 , e non si può che consentire con la delusione di un esponente che non si considera leader, ma è anche stanco di restare seduto sulle torri davanti al deserto dei Tartari, sentendo i propri comandanti evocare guerre senza mai farle.

Pippo non ce l'ha più fatta: ha mollato gli ormeggi stanco di «essere deriso perché dissento», e dispiaciuto che sia capitato durante una campagna elettorale, «ma è Renzi ad aver aperto lo scontro adesso». Negli ultimi tempi dice di essersi sentito come la celebre «particella di sodio» della pubblicità, sola e avulsa dall'elemento. Ora invece si apre un'altra partita, di cui Civati vuol essere promotore più che leader («saremo in tanti, penso a un modello innovativo») e che vedrà impegnate fin da subito forze eterogenee. Vendola e i suoi, naturalmente, farebbero carte false per ospitare Civati nel proprio gruppo e diventare la «rete di sinistra» capace di raccogliere i fuoriusciti pidini (ormai tutti dicono che verranno giù a grappoli, specie dopo risultati elettorali non esaltanti e di sicuro con la nascita del partito della Nazione). Ma in realtà ci sono anche gli ex grillini di sinistra, Campanella & C., con i quali Pippo ha sempre mantenuto rapporti e che potrebbero costituire, assieme ai sei civatiani della Camera il nucleo originario di quel che verrà. La cui ratio però si muove già fuori dal Parlamento, con due soggetti che Civati aspira di far entrare in relazione per una «sinistra di governo». Landini e la sua Coalizione sociale, Prodi con un Ulivo 2.0 rifondato da Letta (si dimetterà a settembre).

Sarà anche per questo che, renziani spocchiosi a parte («Non siamo preoccupati, è una non-notizia»), l'atmosfera che si respirava ieri dalle parti del Pd era assai pesante. Facce da funerale, richiami a ripensarci ma, come avverte Speranza, «il malessere è serio e l'uscita di Pippo non merita solo una scrollata di spalle». Qualche bersaniano pensa ancora di riprendersi il partito conducendo la battaglia da dentro, tipi alla Mineo si tirano indietro. Eppure, se il battito d'ali d'una farfalla in Cina provoca un terremoto in Perù, il coraggio ritrovato di Pippo può essere ben capace di scatenare reazioni a catena. Matteo avvisato.

di Roberto Scafuri

Roma

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