Politica

Le coalizioni sono in crisi. Draghi non cede sulle armi

Il decreto pronto a giorni L’ipotesi è che dopo gli Usa l’ex Bce vada in Parlamento per un’informativa (senza voto) già prevista per legge

Le coalizioni sono in crisi. Draghi non cede sulle armi

Poco più di tre mesi e le due coalizioni che sostengono il governo di Mario Draghi sono finite terremotate. Il primo strappo ha lacerato soprattutto il centrodestra, compromettendo il già difficile rapporto tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il secondo, invece, proprio in questi giorni ha pesantemente incrinato l'asse tra Pd e M5s, con Giuseppe Conte che ormai da 48 ore strizza l'occhio al suo personale Papeete. Non si spiega altrimenti un ex premier e leader di maggioranza che nel giro di due giorni accusa il «suo» presidente del Consiglio prima di «ricatto» (sul termovalorizzatore di Roma) e poi ) di «rappresaglia» (sul no al Superbonus). Così, ci sta che a Palazzo Chigi siano più che convinti che Conte sia ormai entrato in modalità-campagna elettorale. D’altra parte, la richiesta a Draghi di riferire alle Camere sulle armi è alquanto pretestuosa. Il voto del Parlamento dello scorso primo marzo (peraltro a larghissima maggioranza) fornisce infatti al governo un ombrello politico e giuridico fino al 31 dicembre. E in quell’occasione il M5s - così come la Lega di un Salvini anche lui oggi dubbioso - si espresse convintamente a favore dell’invio di armi a Kiev. Passati due mesi, però, l’autoproclamato avvocato del popolo ha scoperto che battere la via dello scetticismo è utile a raccogliere qualche consenso in più nei sondaggi. Così, prima ha iniziato a dissertare sulla differenza tra armi letali e no, come se al ministero della Difesa fossero indecisi se mandare cerbottane o missili anticarro. E poi, non contento, ha aperto il dibattito filosofico sugli armamenti difensivi e quelli offensivi, dicendosi contrario all’invio di carri armati. Nessuno, evidentemente, deve avergli spiegato che in Ucraina è in corso un’invasione militare di terra e che un blindato può essere determinante proprio per difendersi dall’avanzata dei carri armati sovietici. Di questi e altri interrogativi, dunque, dovrebbe «rispondere Draghi». Che - chiede Conte e a ruota il capogruppo grillino alla Camera Davide Crippa - deve «riferire in Parlamento». La verità è che si gioca sul cavillo. E su quelli che sono obblighi di legge già codificati, visto che proprio il provvedimento approvato il primo marzo impone di tenere «costantemente informato il Parlamento». Conte, insomma, sa che prima o poi Draghi in aula ci andrà. E anche se lo farà perché rientra nelle già previste «comunicazioni trimestrali» è pronto a rivendersi la cosa come un suo grande successo. Nella sua richiesta, insomma, c’è poca politica e molta propaganda. E che l’ex premier voglia solo alzare la tensione in chiave elettorale, lo pensa non soltanto Draghi ma - a microfoni spenti - lo ripetono ministri di quasi tutti i partiti. Mariastella Gelmini fa un passo in più. «Rispetto al tema delle armi - spiega a SkyTg24 il titolare degli Affari regionali - ricordo a Conte che una cosa è governare un Paese in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, un’altra sono le campagne elettorali». «Sia M5s che Lega hanno votato la risoluzione che impegna il governo a sostenere militarmente l’Ucraina. Serve coerenza e rispetto per un voto che è stato espresso qualche settimana fa», gli fa eco il ministro per il Sud, Mara Carfagna. Conte ha invece deciso di giocare sull’equivoco. E continua a battere sulla richiesta di avere Draghi in Parlamento nonostante - lo ha ribadito ieri alla Camera il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulé - la natura dei decreti interministeriali resti la stessa. Sul terzo sono da giorni al lavoro Difesa, Economia ed Esteri e dovrebbe arrivare al più tardi la prossima settimana, anche se la tempistica è comunque legata ai nostri partner europei. Qualcosa in proposito potrebbe dire oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, atteso per un’audizione nelle commissioni riunite di Camera e Senato. Draghi, invece, potrebbe riferire in Parlamento dopo il suo viaggio a Washington, nelle prossime settimane. Ma - come già stabilito dal decreto - si tratterebbe di una semplice informativa, prevista a cadenza trimestrale fino al 31 dicembre.

E per la quale non è previsto alcun voto. A

Commenti