
La guerra energetica è il nuovo livello strategico e preoccupante del conflitto fra Israele e l'Iran. I droni con la stella di Davide hanno bombardato South Pars, la più grande riserva di gas del mondo, vena giugulare per tenere in piedi il sistema degli ayatollah. Gli iraniani hanno risposto centrando con i missili un'importante oleodotto alle porte di Haifa. E sullo sfondo si profila la minaccia della chiusura dello stretto di Hormuz, il budello energetico dove passa il 30% del traffico mondiale di greggio e il 20% di quello di gas natural liquefatto. Non a caso il viceministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Vannia Gava ha dichiarato ieri: «La minaccia di un blocco dello Stretto di Hormuz, nel quadro dell'instabilità geopolitica attuale, dimostra quanto sia critica ogni forma di dipendenza energetica». E ancora prima il minsitro, Gilberto Pichetto Fratin, aveva lanciato l'allarme sulla possibilità che il conflitto scateni un caro greggio, fino ad ora contenuto «intorno all'8% per il petrolio e al 5% per il gas ma abbiamo archiviato soltanto la prima giornata di mercato seguita all'attacco israeliano e si aspetta di vedere l'inizio della nuova settimana». Circa 15 milioni di barili al giorno transitano per Hormuz, «un blocco totale farebbe schizzare il petrolio oltre i 200 dollari» ipotizzano gli esperti. Per ora si rischia di arrivare a 130 al barile.
Droni iraniani hanno colpito la parte Sud del giacimento di Pars condiviso nell'area Nord con il Qatar. La fetta iraniana produce 714 milioni di metri cubi di gas al giorno. Il bombardamento ha interessato pure una vicina raffineria presso la città portuale di Kangan. South Pars è il più importante giacimento iraniano di gas naturale e ha un valore simbolico ed economico centrale per il Paese.
«Trascinare il conflitto nella regione del Golfo è un grave errore strategico, probabilmente deliberato e mirato a estendere la guerra al di fuori del territorio iraniano» ha dichiarato ad alcuni diplomatici stranieri il ministro degli Esteri di Teheran. Secondo Abbas Araghchi, il bombardamento di South Pars rappresenta «una mossa estremamente pericolosa» e segna un'escalation significativa del conflitto. Non a caso gli iraniani hanno risposto con un lancio di missili verso Haifa, che ha centrato l'oleodotto gestito dal gruppo Bazan, società petrolifera israeliana. L'attacco ha danneggiato le condutture e le linee di trasmissione tra gli impianti. Però Israele ha anche diminuito o forse sospeso l'esportazione di gas verso l'Egitto. Per questo il governo del Cairo ha ridotto o chiuso le forniture a diverse industrie locali.
Esmail Kosari, membro della commissione sicurezza del parlamento iraniano ha dichiarato che «la questione della chiusura dello Stretto di Hormuz è attualmente oggetto di valutazione e l'Iran non esiterà a prendere la decisione più adeguata».
Attraverso lo stretto di soli 49 chilometri di larghezza, che unisce il Golfo Persico a quello dell'Oman, passa, oltre al gas liquefatto, il petrolio dell'Arabia Saudita (oltre 9 milioni di barili al giorno nel 2024), Emirati Arabi Uniti (4,4 milioni), Qatar (600 mila) e dello stesso Iran. Gran parte del greggio, 1,1 milioni di barili al giorno, vanno in Cina nonostante l'embargo. «Hormuz è uno dei cinque punti di passaggio chiave del mondo - osserva Michelangelo Celozzi, presidente del Trans Med Engineering Network - La sua chiusura metterebbe in difficoltà addirittura l'Asia e pure noi, anche se abbiamo molto diversificato le importazioni».
Per gli iraniani sembrerebbe un suicidio, ma se gli israeliani bombardano i giacimenti energetici gli ayatollah comunque non riusciranno a far passare più niente. L'obiettivo finale è far sentire alla popolazione il peso della guerra incolpando il regime: in alcuni supermercati già scarseggiano i prodotti e la benzina comincerà ad aumentare di prezzo o arriverà a singhiozzo bloccando le grandi città.
«Finora
le riserve energetiche sono rimaste fuori dai bersagli perché incidono sugli equilibri strategici - spiega Celozzi - Se cominciano a colpirli l'impatto si rifletterà su tutta le regione compresi Egitto, Giordania e Siria».