Combattenti e reduci: sono la rovina del Paese

Che tristezza lo spettacolo della Cgil

Combattenti e reduci: sono la rovina del Paese

Ne abbiamo viste talmente tante di manifestazioni, specialmente quelle caratterizzate da sventolio di bandiere rosse, che una più una meno non impressiona, ma fa tenerezza. Quella in calendario oggi a Roma, organizzata - manco a dirlo - dalla signora Camusso in Cgil è finalizzata, pare, a contestare le politiche di Matteo Renzi, accusato di intelligenza col nemico-amico Silvio Berlusconi e di confinare la minoranza archeologica del Pd in un recesso sotto tutela del Wwf. L'antico e inglorioso sindacato paleolitico è libero di radunare in piazza, quando e come desidera, i suoi numerosi pensionati e i suoi pochissimi giovani iscritti, strumentalizzando a piacimento la loro fede ingenua allo scopo di esibire i propri muscoli, ormai flaccidi, al padroncino di Palazzo Chigi. Ci mancherebbe altro.

Tuttavia siamo stupiti nel constatare che la liturgia piazzaiola, nonostante la propria vuotezza, continui ad essere praticata dai vertici imbolsiti della Camera del lavoro dove spiccano personaggi da museo delle cere, come Landini, uno che addirittura ambisce a occupare le fabbriche senza rendersi conto che le fabbriche medesime sono dismesse. Costui è ancora persuaso di essere stato investito da una missione: difendere i lavoratori. Non si è nemmeno accorto, accecato com'è dalla presunzione, che gli operai sono una minoranza in via di estinzione, in attesa di essere collocata a riposo e, come gli indiani, costretta a vivere nelle riserve. Fanno pena, gli operai, poveracci, e Landini pure, quasi quanto la Camusso.

Lo spettacolo cui assisteranno oggi nella capitale, già provata da orde di borgatari e immigrati di vario colore avvezzi a lordare i sampietrini e a ridurli a pattumiere, ci infonderà un senso di tristezza. La Cgil ha alle spalle una storia non banale che, però, si ferma agli anni Sessanta, quando la classe operaia conquistò al cinema il paradiso grazie a conquiste ottenute col ricatto dei picchetti e la violenza contro i cosiddetti crumiri, poi rivelatesi deleterie per le aziende: un mese di ferie, la settimana corta (cinque giorni di attività), assenteismo impunito (il più alto dell'occidente), Cassa integrazione illimitata, depenalizzazione de facto del boicottaggio, azzeramento della disciplina delle imprese, illicenziabilità dei farabutti coadiuvati da pretori d'assalto criptomarxisti. E ci fermiamo qui per non farvi crescere la barba.

Da oltre quarant'anni, il sindacato campa di rendita, avendo ingessato gli opifici con regole parasovietiche, tra le quali una sorta di obbligo a trattenere sulla busta paga le quote da devolvere al sindacato stesso (vera e propria casta), sollevato dalla necessità di presentare bilanci e di pagare le tasse. C'è gente che per decenni si è nutrita nella greppia sindacale e non ha fatto neppure finta di lavorare. Era così anche nei giornali. I membri del comitato di redazione del Corriere della Sera (cinque soggetti) dal momento della loro elezione a rappresentanti dei colleghi, avevano la facoltà di grattarsi il ventre da mane a sera e di disertare l'ufficio senza giustificazione. Una pacchia rafforzata dal fatto che, alla scadenza del mandato, essi ottenevano in automatico una promozione e un congruo aumento di stipendio che i comuni mortali si sognavano.

Non parliamo per sentito dire. La decadenza della stampa e il declino dei giornali recano la firma dei sindacalisti. I quali hanno gonfiato di amici gli organici in cambio della pace sociale nelle redazioni, bruciando risorse e infoltendo la schiera degli imbecilli ubbidienti ai loro mentori per gratitudine.

Ma torniamo ai volontari che oggi si ammassano a Roma rammentandoci che la Cgil non è stata relegata in una bacheca, ma è ancora qui a tentare di fare danni, non paga di quelli provocati in passato. Ci chiediamo: chi li induce a sobbarcarsi una trasferta tanto faticosa? I quiescenti, è noto, hanno tempo libero in abbondanza. A casa si annoiano, le partite a scopa nelle osterie non riempiono la giornata. Pertanto, se il sindacato offre l'opportunità di una gita in torpedone - gratis - nella Città eterna, perché rifiutarla? Si mangia al sacco a spese della Cgil, si sta tutti insieme, si fanno quattro risate e l'impegno in piazza non è gravoso: si tratta di battere le mani a comando.

Date le premesse, ovvio che centomila umani da assiepare sotto il palco dei tribuni incaricati di concionare si reclutano facilmente. I servizi televisivi sono assicurati, qualche titolo sui giornali, pure. E Renzi, che se ne infischia delle proteste inconcludenti del gruppetto sparuto dei suoi oppositori, si farà una risata, pensando che ogni attacco ricevuto dai cavernicoli di Botteghe Oscure si tradurrà in consensi a iosa a suo favore espressi da italiani che ne hanno le balle piene di tardocomunisti.

La Cgil in effetti non intimidisce più nessuno. È come l'Associazione combattenti reduci. La guardi e ti fa sorridere; un sorriso di compatimento, malinconico. È l'immagine di un mondo remoto che non si rassegna a coricarsi e a concedere spazio all'inevitabile avanzata della modernità.

Una conclusiva nota di colore. Ieri mattina sono stato ospite di un programma televisivo condotto magistralmente da Myrta Merlino su La7: L'aria che tira . C'era in studio un tipetto, tale Alfredo D'Attore, del Pd, abbastanza giovane, il quale ha reagito eroicamente quando ho paragonato la Cgil all'Associazione combattenti reduci. Egli ha sostenuto che il sindacato è una forza inestinguibile del nostro Paese. Qui ha ragione: per noi italiani il culto dei morti (Foscolo docet) è più importante di quello dei vivi. Di fronte alle mie argomentazioni circa l'incapacità del sindacato di stare al passo coi tempi, ha sbroccato: mi ha dato del berlusconiano con lo stesso spirito con cui mi avrebbe potuto dare del cornuto. Secondo lui inoltre il reduce sarebbe Silvio.

E dimentica che il segretario Pd e presidente del Consiglio ha stretto un patto con l'ex Cavaliere, non fidandosi dei compagni come D'Attore. Compagni ai quali, se togli la possibilità di strapazzare Berlusconi, non resta un appiglio a cui aggrapparsi, eccetto il tram.

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