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Il reddito di militanza dei cinematografari

C'è una casta più intoccabile delle altre. Patinata, ben levigata dal pensiero debolissimo del politicamente corretto, vezzeggiata dalla stampa amica, accudita dalla critica e pagata con i nostri soldi

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C'è una casta più intoccabile delle altre. Patinata, ben levigata dal pensiero debolissimo del politicamente corretto, vezzeggiata dalla stampa amica, accudita dalla critica e pagata con i nostri soldi. La casta del cinema italiano. Ecco, ribadiamo: pagata con i nostri soldi, perché è questo il problema di tutta la faccenda. Riavvolgiamo la pellicola: qualche giorno fa il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha annunciato una sforbiciata al fiume di soldi pubblici che irrora i salottini del cinema. Una specie di reddito di cittadinanza (o, se preferite, di militanza) per registi che animano un baraccone parastatale che sforna quasi sempre pellicole dall'alto tasso di luogocomunismo e dai minimi incassi al botteghino. Una casta, ricca e agguerrita che, neppure in un momento di difficoltà economiche come questo, vuole rinunciare a una piccola quota delle proprie prebende. Se ne è accorto il ministro Sangiuliano che, in un amen, è stato bersagliato da un coro di critiche per aver osato scalfire uno degli ultimi santuari dei privilegi assistenzialisti. La casta cinematografica non tollera uno dei principi base dell'economia: un prodotto per restare sul mercato deve avere degli acquirenti, in questo caso gli spettatori. Se un film riceve milioni di sovvenzioni statali e poi porta al cinema (ma bastava un salotto) 29 persone, beh, c'è qualcosa che non va. Sangiuliano ha alzato il sipario su quel piccolo mondo nel quale da anni sopravvivono sprechi e privilegi, rendite di posizione e lobby intellettuali tanto spocchiose quanto dipendenti dal danaro pubblico. E nei salotti più radical chic ha creato scompiglio.

E questa non solo è una novità, ma potrebbe essere la trama di un film di successo, sicuramente con più di 29 spettatori. Ciak, azione!

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