
Il quadro è appeso nella penombra all'interno della stanza dei tesori. È lì, dentro un forte nel Galles. Si chiama Powis Castle e conserva il bottino che la Compagnia delle Indie Orientali ha strappato all'impero dei moghul. Quella parola, bottino, è il termine gergale hindustani con cui venivano indicate le razzie. È la prima parola indiana che entra nel vocabolario anglosassone. Non è affatto un caso. La scena ritrae il giovane imperatore Shah Alam costretto a una privatizzazione forzata. È il 1765. Il ragazzo è vestito in abiti d'oro e seduto su un trono sotto un padiglione di seta. Alla sua sinistra ci sono gli ufficiali del suo esercito, armati di lance e scimitarre, alla destra un gruppo di signori imparruccati stile Giorgio III. Shah Alam sta consegnando una pergamena. È l'ordine di licenziare i suoi esattori fiscali in Bengala, Bihar e Orissa e sostituirli con una ragnatela di mercanti inglesi protetti da un esercito potentissimo e privato. È così che si sono presi l'India. Non c'era niente di più britannico, e al tempo stesso meno inglese, della Compagnia delle Indie Orientali. È un'idea nata su un'isola e concepita per dominare il mondo. Una corporazione senza confini, globale, la madre di tutte le multinazionali. Gli eredi culturali e economici della Compagnia non indossano divise rosse né rispondono alla regina, ma controllano reti, dati, algoritmi e desideri. Amazon, Google, Meta, Apple: chiamiamoli come vogliamo, sono gli eredi diretti della grande anomalia del XVIII secolo. È l'equazione che il presidente Mattarella ha tirato fuori dalla pieghe spazio-temporali della storia.
Nel 1600 la Compagnia nasce con una licenza della Corona, un foglio di carta che autorizza a commerciare con l'Oriente. All'inizio è solo un'idea di affari, un azzardo commerciale tra spezie, tè e tessuti. Poi succede qualcosa. La Compagnia diventa un esercito e compra armi, arruola soldati, stringe alleanze, dichiara guerra, si prende il Bengala. E da lì comincia a governare. Non è uno Stato, ma si comporta da Stato. È un Leviatano di contabilità, interessi composti e bilanci trimestrali. A Londra nessuno capisce bene cosa stia accadendo. L'India è lontana. L'importante è che arrivino i dividendi. La Compagnia delle Indie era anche questo: un paradosso. Un'azienda che in nome del mercato aboliva la concorrenza, che conquistava territori per vendere a prezzi fissi. Non era il libero mercato, era il mercato armato. E oggi? I big del web promuovono la libertà di espressione, ma decidono chi ha diritto a parlare. Sono la nuova censura, ma con il volto sorridente di un algoritmo. Promettono neutralità, ma sono curate da mani invisibili che decidono cosa vediamo, cosa sappiamo, cosa crediamo. Dalrymple ricorda che l'anarchia non è solo caos: è assenza di responsabilità. È quando il potere non ha più un volto. La Compagnia governava senza governo, guadagnava senza limiti, ed era pronta a distruggere un intero popolo per mantenere il proprio margine operativo. Non abbiamo più bisogno di soldati. Bastano piattaforme. Non servono colonie, bastano utenti. Non serve nemmeno più la forza, basta la dipendenza. L'India era la colonia dell'oppio. Ora siamo la colonia delle notifiche. La vera geopolitica si fa con i dati, non con i carri armati. E chi controlla i dati, controlla il mondo.
La Compagnia delle Indie crollò su se stessa. Troppo grande per fallire, troppo corrotta per sopravvivere. A un certo punto persino Londra capì che non si poteva più delegare a una società privata il destino di un continente. Ma ci volle una ribellione. E sangue. E vergogna. La differenza in questi tempi moderni non c'è più un impero da cui emanciparsi. Siamo noi stessi a voler vivere nell'ecosistema di Google, a pregare davanti ai pacchi Prime, a confidare i nostri pensieri più intimi a Siri. "La conquista dell'India da parte della Compagnia, scrive William Dalrymple in Anarchia (Adelphi), resta quasi sicuramente il supremo atto di violenza aziendale nella storia del mondo. Quando gli storici discutono dell'eredità del colonialismo britannico in India di solito citano il tè e il cricket, ma l'idea della società per azioni è forse una delle più cruciali".
L'impressione che il verso del mondo giri verso Oriente forse è dovuto anche a questo.
Le compagnie non hanno più bisogno di libertà e democrazia. Lo sapeva anche Emilio Salgari che, senza aver mai messo piede a Mompracem, in Malesia, aveva immaginato un eroe della libertà contro i signori della globalizzazione: Sandokan.