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Complottisti già scatenati "Se uccidessero il presidente?"

Per qualcuno il tycoon potrebbe non arrivare alla Casa Bianca. Per un attentato o per la "rivolta" dei delegati

Complottisti già scatenati "Se uccidessero il presidente?"

E se Donald Trump non arrivasse mai a varcare la soglia della Casa Bianca perché lo ammazzano prima oppure lo fanno saltare dopo con scandali veri o presunti? Fantapolitica, ma l'elezione del 45° presidente è stata così sorprendente, che tutto potrebbe ancora accadere prima dell'insediamento in gennaio. O più semplicemente i grandi elettori dei 50 stati americani, scaturiti dal voto nazionale, che in dicembre investiranno il presidente potrebbero non scegliere Trump. In passato è capitato in nove casi, mai determinanti, ma questa volta molti repubblicani non sopportano il nuovo presidente. Più concreto il fantathriller: negli Stati Uniti 4 presidenti sono stati assassinati, ma solo uno, John Fitzgerald Kennedy, negli ultimi 100 anni. In compenso sono stati sventati 20 complotti per uccidere gli inquilini della Casa Bianca. Ronald Reagan fu ferito in un attentato e a George W. Bush hanno tirato una granata, che non è esplosa.

Oggi può bastare la manipolazione di un esaltato che considera Trump un pericolo mortale per la democrazia. I candidati non mancano e lo dimostra l'arresto in giugno di Michael Steven Sandford, inglese di 20 anni, che voleva uccidere il candidato repubblicano a Las Vegas. Lo scorso settembre si è dichiarato colpevole, anche se non è riuscito a sparare nemmeno un colpo.

Trump è riuscito a vincere come candidato anti-establishment e i poteri forti hanno fatto di tutto per affossarlo, senza riuscirci. Le teorie complottiste stanno fiorendo, ma non è inventata la lettera aperta di cinquanta esperti di alto livello della sicurezza nazionale pubblicata dal New York Times. Uomini degli apparati come Tom Ridge e Michael Chertoff, ex segretari dell'Interno, l'ex direttore dell'intelligence nazionale John Negroponte e il capo della Cia nell'era Bush, Michael Hayden hanno scritto nero su bianco «che Trump sarebbe un presidente pericoloso, che metterebbe a rischio la sicurezza e il benessere nazionale del nostro Paese». Alla convention democratica, l'ex generale dei marines, John Allen, ha fatto un discorso da brividi a favore di Hillary Clinton. A tal punto che è dovuto intervenire l'ex capo degli Stati maggiori Martin Dempsey per invitare «gli amici ammiragli e generali a tenere per voi le idee politiche».

Hayden, ex generale e direttore della Cia, ha addirittura paventato una rivolta dei militari se Trump dovesse dare «ordini illegali» sul terrorismo e altre operazioni. Tutta gente che ha ancora forti addentellati al Pentagono e nei gangli dell'intelligence Usa. Le posizioni di Trump sui musulmani attirano come mosche sul miele velleitari terroristi, che in un'ipotesi fantathriller potrebbero avere gioco facile se l'intelligence chiudesse un occhio.

Per non parlare di Michael Morell direttore della Cia dal 2010 al 2013, che ha accusato il nuovo presidente di essere «un pericoloso comandante in capo. Nell'intelligente diremmo che Putin ha reclutato Trump come agente inconsapevole della Federazione russa». Ottime allusioni per montare uno scandalo ad arte. Per non parlare dell'arsenale atomico. Lo stesso Obama fino al 6 novembre ha ribadito che il nuovo inquilino della Casa Bianca «non sa controllare il suo account di Twitter, figuratevi se può controllare i codici nucleari». Clinton aveva rincarato la dose sostenendo che Trump «non ha il temperamento della persona a cui possiamo affidare i codici nucleari» per il lancio dei missili.

Parole pesanti, rimbombate nelle orecchie delle alte sfere militari e dell'intelligence ancora in servizio.

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