Le vie dell'inferno, si sa, sono lastricate di buone intenzioni. E non vi è dubbio che Draghi e il ministro Cartabia avevano le migliori intenzioni: superare la sospensione (rectius: eliminazione) della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e riaffermare il principio della ragionevole durata del processo, in linea con l'art. 111 della Costituzione e con l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Ma poi, nel tentativo di accontentare un po' tutti, si è raggiunto un compromesso al ribasso, che rende il quadro difficilmente comprensibile. Intanto, si è commesso un errore originario, partendo dal disegno di legge Bonafede e immaginando di modificarlo con emendamenti frutto del lavoro della Commissione Lattanzi, nominata dal Guardasigilli. Poi, sposando la più improbabile delle soluzioni ipotizzate dalla Commissione: quella di aggiungere alla prescrizione sostanziale di Bonafede una improcedibilità connessa ai successivi gradi di giudizio. Una soluzione, a mio avviso, pasticciata sulla quale noti colleghi processual-penalisti hanno formulato fondate critiche.
Poi, la via scelta è stata ulteriormente complicata, in seguito a prese di posizione di talune forze politiche e, soprattutto, di una parte, la solita, della magistratura.
Innanzitutto, si prevede una norma transitoria in base alla quale, fino al 31 dicembre 2024, il tempo limite oltre il quale il giudice dichiara improcedibile il giudizio è di 3 anni in secondo grado e di un anno e 6 mesi in Cassazione.
Ma soprattutto, a fronte della previsione generale di due anni per l'appello e uno per il giudizio in Cassazione, a regime, si introduce un triplo regime derogatorio.
Il primo riguarda tutti i reati (e non più solo alcuni). Nei giudizi di particolare complessità i termini sono prolungabili dal giudice di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione. Nel periodo transitorio, però, con le proroghe si potrà arrivare rispettivamente a quattro anni e a due anni nella prima fase di applicazione della riforma.
Il secondo regime speciale riguarda i reati aggravati dal metodo mafioso o dall'agevolazione alla mafia (articolo 416-bis.1 del codice penale). Qui dopo la prima proroga i termini possono essere prorogati fino a un massimo di altre due volte, per un totale di tre. Quindi, nel periodo transitorio si parte da tre anni in appello e aggiungendo tre proroghe si arriva fino a sei anni. A regime si partirà da due anni, quindi si scenderà a cinque. In Cassazione, invece, nel periodo transitorio si parte da 18 mesi: aggiungendo tre proroghe di sei mesi ciascuna si arriva a un totale di tre anni. A regime bisogna calcolare una base di un anno, e quindi al massimo si potrà prolungare fino a due anni e mezzo.
Infine, la terza eccezione: per associazione di stampo mafioso, voto di scambio politico-mafioso, reati di terrorismo, violenze sessuali e associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti i termini di base sono gli stessi, ma le proroghe sono rinnovabili all'infinito.
Non credo che questo quadro possa reggere ad un eventuale vaglio di costituzionalità, sia perché il principio della ragionevole durata vale per tutti i reati, sia per la possibile disparità di trattamento tra imputati di reati diversi.
In ogni caso, si consegna ai magistrati il potere di scegliere la durata dei processi: aumentando ulteriormente un potere discrezionale del quale poi molti si lamentano piangendo lacrime di coccodrillo.di Bartolomeo Romano
Ordinario di Diritto penale all'Università di Palermo e già componente del Csm
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