Un mese o poco più, prima del voto per le Amministrative: non sono le donne di Kabul o le epocali ripercussioni geopolitiche della ritirata afghana ad occupare le menti e ad animare la ripresa post-vacanze della politica italiana. È la campagna elettorale, in cui tutto torna utile per imbonire gli elettori: dagli slogan implicitamente no-vax di Giorgia Meloni all'abolizione dei licenziamenti (dopo quella della povertà) promessa da Pd e M5s al respingimento dei profughi afghani garantito da Salvini.
Le elezioni di ottobre a Roma, Milano, Torino, Napoli, Calabria saranno l'occasione per una prima verifica dei rapporti di forza, dentro e tra le scombiccherate coalizioni esistenti, in vista della partita decisiva: quella che si aprirà con il nuovo anno per il Quirinale.
A partire avvantaggiato è il Pd: il centrodestra, che nei sondaggi virtuali è ampiamente in testa a livello nazionale, nella realtà elettorale fatica a trovare candidati credibili, e quando li ha vengono abbattuti dal fuoco incrociato delle rivalità tra primedonne di Salvini e Meloni. Così, a sfidare i pur non eccelsi candidati sindaci dem in città chiave come Roma o Milano ci sono personaggi che il Pd ritiene deboli, sia politicamente che comunicativamente, e quindi facili da battere. Enrico Letta dunque già pregusta il successo: se riuscisse a spuntarla anche a Roma, riuscirebbe a blindare la sua leadership un po' appannata. Potrebbe cantare vittoria rispetto alla metà di destra della maggioranza che sostiene Draghi e tentare di imporsi come punto di riferimento nella propria metà, visto che l'unica cosa che sembra certa è la batosta epocale che incasserà il M5s di Conte, destinato non solo a perdere tutte le città che governava (o meglio sgovernava), ma anche a incassare percentuali elettorali deprimenti. Così, sperano al Nazareno, dovrà abbassare le penne e diventare quel malleabile alleato che i dem, costretti finora al corteggiamento più spinto, vorrebbero finalmente ottenere. Soprattutto quando si tratterà di gestire le truppe grilline per il Quirinale. Su cui finora manca però una convergenza di interessi: Conte vorrebbe andare a elezioni anticipate, anche a prezzo di eleggere l'odiato Draghi al Colle, per potersi costruire gruppi a lui devoti, con Di Battista e simili cavalli di razza, eliminando l'attuale base parlamentare. Che ovviamente non ci starà mai a farsi liquidare anzitempo. Così come nei gruppi parlamentari Pd sono in pochi quelli che agevolerebbero una simile manovra da parte di Letta. E infatti tra i dem l'auspicio più ripetuto è uno: conferma di Mattarella al Quirinale (alla faccia di tutti gli aspiranti sostituti, da Prodi a Veltroni a Franceschini a Casini) e conferma di Draghi a Palazzo Chigi, fino al termine della legislatura. E in ogni caso, a febbraio, Letta se la dovrà vedere in Parlamento con la pattuglia renziana, decisa ad essere determinante tra i due schieramenti.
Nel frattempo, sinistra e destra di governo si confrontano in scaramucce dimostrative: i primi chiedono la testa di Durigon, i secondi quelli di Lamorgese.
Il Pd e i grillini promettono di impedire alle aziende di delocalizzare a suon di multe e gabbie, Salvini promette flat tax e pensioni anticipate per tutti (e insegue la Meloni nel corteggiamento degli irresponsabili no vax). Campagna elettorale, per i prossimi sei mesi. Destinata ovviamente a risolversi in nulla, come è stato precedentemente per il famoso ddl Zan, ormai dimenticato in qualche cassetto.
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