
Sono mesi che in Spagna un padre sta cercando di impedire a sua figlia di morire con l'eutanasia. Ieri, dopo molte battaglie, ha perso la guerra. Una giudice ha bocciato il ricorso.
Fin dall'inizio la sua lotta è stata dura, ai limiti dell'impossibile, e lui lo sapeva bene, perché di armi non ne ha mai avute molte, a partire dalla legge che dal 2021 da ragione alla giovane donna, 23 anni giudicata dal Tar di Barcellona, con sufficienti capacità cognitive e psicologiche per decidere per le proprie azioni. Il Tribunale ha così avallato la richiesta di morte assistita per la giovane paraplegica, nel primo giudizio celebrato in Spagna per il diritto a una morte degna. Prima, c'è stata una battaglia lunga e sofferta, che ha preso il via l'estate scorsa, il primo agosto il padre, assistito da Avvocati Cristiani ottiene la sospensione cautelare della morte assistita della figlia, Noelia, poche ore prima che venisse realizzata nell'Ospedale Residenziale San Camil di Barcellona, sostenendo che la giovane non fosse «nel pieno controllo delle proprie facoltà».
Sembrava un primo segnale positivo me è stata solo una terribile, angosciante sospensione.
Nel pronunciamento, la giudice del Tar ha accolto la richiesta della Procura e del governo catalano, che dopo il giudizio, hanno chiesto fosse autorizzata l'eutanasia della giovane, poiché frutto di una decisione autonoma dell'interessata, che risponde ai requisiti legali per una morte assistita. La giovane - che soffre di una lesione midollare inguaribile, provocata da un tentativo di suicidio - ha le abilità cognitive e psicologiche per decidere autonomamente e non presenta alterazioni delle funzioni mentali, ha dichiarato il magistrato condannando l'associazione Avvocati Cristiani al pagamento delle spese legali. Il Tar segnala anche che il padre non era legittimato a opporsi al diritto della figlia, una prerogativa che il tribunale limita ai casi di minorenni o di persone incapaci di intendere.
«Nel presente caso la beneficiaria della prestazione» sanitaria «è una persona maggiorenne e suo padre non solo non ha promosso alcun procedimento di inabilitazione, ma nemmeno ha apportato alcuna prova di presunta incapacità». Per cui non si ritiene giustificata «la difesa di un personalissimo diritto altrui, come il diritto alla vita». La giudice ricorda, inoltre, che la giovane non convive con i genitori da anni, essendole stata loro revocata la custodia quando era piccola, e che attualmente risiede in un centro sociosanitario «non avendo un tetto né una rete sociale che la possa proteggere». Per cui il rapporto con la famiglia non è abbastanza stretto perché questa abbia alcun diritto di intervenire nella sua volontà a morire.
Il Tar respinge, infine, l'argomento sostenuto dagli avvocati, che la ragazza sia sofferente di un disturbo della personalità che le ha fatto cambiare varie volte di opinione, poiché «non è stata apportata neanche una sola testimonianza» a riprova di tali affermazioni.Al contrario la sua capacità di richiedere una morte degna «è stata accreditata da diversi rapporti emessi da medici legali specialisti in psichiatria».
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