
Due omicidi, diciotto cardinali, un santo e millesei giorni di sede vacante. Sono questi i numeri straordinari del primo Conclave per come lo conosciamo oggi, l'assemblea dei cardinali riuniti per eleggere il nuovo Papa. I porporati impiegarono 2 anni, 7 mesi e 7 giorni per trovare un nome che li mettesse d'accordo: in verità non ci riuscirono spontaneamente e così non restò che segregarli e chiuderli a chiave - clausi cum clave. Il Conclave più lungo nella storia della Chiesa è dunque anche quello da cui ne è derivato il nome.
Era il 1268 e il teatro fu Viterbo: era appena stata terminata la costruzione di un palazzo, voluto da Papa Clemente IV, che fosse per i pontefici una dimora sicura quando dovevano allontanarsi da Roma, squassata da violenze continue. Una roccaforte guelfa, contro i nemici ghibellini e gli eserciti degli imperatori. Ma Clemente passò a miglior vita e il grande salone dalle pareti di pietra nuda fu inaugurato per trovare proprio chi gli dovesse succedere.
A quel tempo, era già stabilito che a votare per il nuovo pontefice fossero solo i cardinali, ma di altre regole non ce n'erano, anzi. Erano tempi bui e sanguinosi, delle ultime crociate e delle guerre fra potere religioso e potere secolare: facile immaginare che l'elezione di un Papa dalla propria parte fosse un gioco all'ultimo sangue.
Il Conclave si aprì esattamente un mese dopo un omicidio che fece molta impressione, quello del giovane Corradino duca di Svezia, in Italia per prendersi il trono del regno di Sicilia, suo per discendenza. A ordinarne la morte fu lo spietato Carlo d'Angiò, figlio di re Luigi VIII di Francia, e suo rivale: Corradino fu decapitato a Napoli, nella piazza del mercato, e i resti furono buttati in riva al mare. Non è chiaro, ma il sospetto è storia, se anche il pontefice appena defunto fosse d'accordo; fatto sta che la Curia papale era molto preoccupata.
I diciotto cardinali riuniti a Viterbo erano tormentati delle terribili pressioni che giungevano da ogni parte: come facevano, rischiavano non solo di scontentare qualcuno, ma anche la pelle. Iniziò così una serie di votazioni inconcludenti e senza fine. Trascorsero settimane, e mesi e poi mesi ancora: i porporati entravano e uscivano dal Palazzo dei Papi, l'assemblea si era fatta culla di intrighi, alleanze e tornaconti.
La sede vacante esasperava il popolo, la cui paura si trasformò in veementi proteste e infine in un furioso sdegno: era indispensabile intervenire. A far ragionare i cardinali fu dapprima chiamato il francescano Bonaventura da Bagnoregio (poi divenuto santo), ma le sue prediche non bastarono a sbloccare lo stallo. Fu così necessario l'intervento assai drastico suggerito dal Capitano del popolo Raniero Gatti, ricco nobile della città stimato dalla gente e dalla Chiesa.
Contro le interferenze dei potenti, nel giugno 1270 ordinò che le porte della città fossero sorvegliate giorno e notte e con un «blitz» fece condurre i cardinali a forza dentro la sala grande del palazzo. Vennero chiusi a chiave e lì sarebbero rimasti finché non si fossero decisi a tirare fuori un nome. Fu anche ridotto loro il cibo, una sola pietanza per pasto: iniziò così una durissima clausura forzata, che incredibilmente non fu però ancora sufficiente. Raniero allora si spinse oltre: fece scoperchiare parte del tetto della sala, lasciando i porporati esposti giorno e notte al caldo estivo e ad ogni condizione atmosferica. Si disse che dal buco del tetto «lo spirito santo sarebbe finalmente riuscito ad entrare». Qui le cronache del tempo sono contraddittorie: certo è che i cardinali erano furiosi e che la loro ostinazione potè più del tetto sacrificato. Dopo 21 giorni di quel trattamento, i magistrati di Viterbo stabilirono che dovessero essere messe a disposizione degli elettori anche le altre stanze del palazzo, che comunque rimaneva chiuso a chiave dall'esterno. I cardinali non si piegarono ancora per un anno, anche perché fuori da quelle mura fu sparso altro sangue. Nel marzo 1271 venne trucidato in chiesa il principe inglese Enrico di Cornovaglia (nipote del re d'Inghilterra), di passaggio a Viterbo insieme al corteo funebre che conduceva a casa le spoglie del re di Francia Luigi IX, morto in Tunisia durante una crociata. C'erano Filippo III (figlio del re) e Carlo d'Angiò (fratello del re). Lo sfrontato assassino fu Guido di Monfort, cugino del morto. L'omicidio sollevò un grande scalpore. I cardinali devono aver pensato che fosse meglio sbrigarsi e andarsene ciascuno a casa propria: trovarono una via d'uscita nominando una commissione di sei di loro, ai quali concessero due giorni per tirar finalmente fuori il nome del nuovo Papa. Incredibilmente, quel primo settembre 1271 ci misero solo qualche ora. «Habemus Papam», fecero sapere: il prescelto era tale Teobaldo Visconti, di Piacenza, persona colta e fine diplomatico, con un «difetto» che in quel momento, però, pesava parecchio: non era un prete.
Teobaldo si trovava in Terra Santa, dove aveva appena incontrato il viaggiatore e ricco mercante Marco Polo. Insieme a Edoardo I, di lì a poco re d'Inghilterra, stava partendo per una crociata contro gli infedeli. Quando gli arrivò la notizia, ne rimane esterrefatto, ma da fervente cattolico accettò. Edoardo gli fornì una flotta e con questa Teobaldo arrivò a Brindisi, accolto da Carlo d'Angiò. Solo quattro mesi dopo essere stato eletto, giunse a Viterbo, dove prima di presentarsi in Duomo venne ordinato sacerdote e poi vescovo, la carriera ecclesiastica più veloce della storia: e si fece chiamare Gregorio X. Il suo primo atto ufficiale da Papa fu promulgare la Costituzione Ubi periculum, che per la prima volta fissava le regole dei futuri Conclave e che fu vista malissimo dai cardinali: gli elettori dovevano riunirsi dieci giorni dopo la morte del pontefice, rimanere segregati in una sala e sbrigarsela in tre giorni. Dal quarto giorno senza esito, il cibo sarebbe stato loro ridotto, fino ad arrivare a pane, vino e acqua.
Nei secoli, diversi
Papi ammorbidirono e affinarono queste regole: nel 1996 fu Wojtyla a modernizzare la procedura, ma di fatto quella antica Costituzione, con la clausura assoluta pena la possibile scomunica, regola ancora oggi il Conclave.
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