Chi sperava che l'Intervista relativamente moderata concessa da Putin alla vigilia della sua visita-lampo in Italia per l'Expo avrebbe influito sulle decisioni del G7 in materia di sanzioni per la crisi ucraina è rimasto deluso. Sotto la spinta di un Obama più che mai convinto che Zar Vladimir voglia «ricreare le glorie dell'impero sovietico», gli altri sei membri del club hanno finito con l'accettare, con maggiore o minore convinzione, la linea dura degli Stati Uniti: rinnovo delle sanzioni che scadranno il mese prossimo e addirittura inasprimento delle stesse se - nelle parole del presidente - «il Cremlino continuerà a non rispettare gli obblighi assunti con gli accordi di Minsk». Se a questo si aggiunge il ventilato proposito americano di dislocare di nuovo in Europa, come ai tempi di Reagan e di Brezhnev, missili per la protezione dei membri orientali della Nato esposti a una ipotetica aggressione russa, si deve concludere che siamo davvero a una ripresa della guerra fredda. Obama ha anche accusato Putin di rovinare, con le sue violazioni del diritto internazionae e le sue ambizioni espansionistiche, l'economia russa.
Com'era inevitabile, la risposta di Mosca non si è fatta attendere, ma bisogna riconoscere al ministro degli Esteri Lavrov una certa abilità diplomatica. Nel suo documento egli si è infatti rivolto esclusivamente a Obama, in un certo senso dando per scontato che sia nel G7, sia soprattutto nella Ue, non tutti sono entusiasti di questa linea inflessibile e che l'astuto «lavoro ai fianchi» che i russi stanno svolgendo da tempo in Europa, accaparrandosi le simpatie di partiti sia di destra, sia di sinistra, potrebbe presto dare i suoi frutti. Insomma, ha capito che non tutti sono convinti che le ragioni siano tutte dell'Ucraina e che non c'è in giro molta voglia di «morire per Donetsk». La Russia, naturalmente, si riserva di reagire a tutte le iniziative «non amichevoli» prese dall'America contro di lei, ma ricorda, non senza qualche ragione, che gli accordi di Minsk devono essere rispettati anche da Kiev: in particolare, gli ucraini (esattamente come i separatisti sostenuti ed equipaggiati da Mosca) non hanno ritirato le armi pesanti dal fronte, e si rifiutano perfino di sedersi a un tavolo con i ribelli per discutere di quella autonomia che a Minsk si sono impegnati a concedere. Se Roma, Madrid e Londra, è uno degli argomenti preferiti dal Cremlino, hanno devoluto ampi poteri ad Alto Adige, Catalogna e ora Scozia, perché Kiev deve rifiutarsi di far altrettanto per due province di popolazione russofona e profondi legami culturali ed economici con Mosca?
Per adesso, dunque, lo scontro è soprattutto tra Putin e Obama (spalleggiato, ma non al cento per cento dalla Merkel). Per fortuna, Washington non è tornata fino adesso, nonostante le pressioni di numerosi militari di alto rango, sulla decisione di non fornire armi offensive all'Ucraina, ma se le diplomazie europee non riusciranno a frenare il presidente americano, il pericolo di questa ulteriore passo verso un conflitto sussiste. Le prossime settimane saranno, sotto questo rispetto, decisive. Ma grande importanza ha assunto anche il Consiglio Europeo di giugno, che dovrà ratificare la decisione dei «grandi» di rinnovare le sanzioni, presumibilmente per sei mesi. Tra i 28 ci sono Paesi come la Grecia, Cipro, la Bulgaria e perfino l'Italia che hanno legami abbastanza stretti con la Russia.
Non appare verosimile che qualcuno usi, in questa occasione, il suo diritto di veto, che lo metterebbe in aperto conflitto con gli altri, ma per esempio Tsipras potrebbe usarlo come arma di ricatto per ottenere altre concessioni. La continuazione del lavoro diplomatico con Mosca, auspicato anche dall'Italia, è, dopo questo G7 (sempre più lontano dal tornare a un G8) più che mai indispensabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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