Europa

Le confessioni travolgono la sinistra. Il giallo del ruolo dei servizi italiani nell'inchiesta Qatar

Giorgi collabora per salvare la Kaili: "Gestivo le tangenti di Doha e del Marocco. Organizzazione capeggiata da Panzeri, sospetto soldi anche a Cozzolino e Tarabella". II caso degli 007 belgi: nascosero l'inchiesta ai colleghi di Roma?

Le confessioni travolgono la sinistra. Il giallo del ruolo dei servizi italiani nell'inchiesta Qatar

Come spesso accade, quando si aprono gli argini viene giù di tutto. E il Parlamento europeo si trova a vivere i giorni peggiori della sua storia.

Ieri, con gli ultimi sviluppi del Qatargate ancora freschi sui giornali, arriva la seconda botta alla credibilità della prestigiosa istituzione. La Procura europea, l'organismo internazionale che vigila sui reati comunitari, porta allo scoperto una nuova inchiesta, che si muove su un terreno diverso ma contiguo all'indagine che ha investito la «italian connection» per lo scandalo delle tangenti a favore di Marocco e Qatar. Vengono incriminate due deputate greche: una è la conservatrice Maria Spyraki, mentre l'altra è un volto ormai ben noto, la socialista Eva Kaili, arrestata con sacchi di banconote in contanti e tuttora detenuta alla periferia di Bruxelles. Le due sono accusate di frode nell'utilizzo dei fondi, oltre 21mila euro al mese, per il pagamento degli assistenti parlamentari: quegli assistenti che - come Francesco Giorgi, compagno della Kaili ed ex capo dello staff di Antonio Panzeri, all'epoca eurodeputato del Pd - svolgono un ruolo cruciale dietro le quinte. Qatargate compreso.

Ora Giorgi sta cercando di immolarsi, prendendo tutte le responsabilità su di sé e lasciando trapelare «sospetti» sul coinvolgimento di altri due europarlamentari di S&D, Andrea Cozzolino e Marc Tarabella. La collaborazione di Giorgi ha l'obiettivo di salvare la Kaili, e permetterle di tornare a casa dalla bambina che i due hanno insieme. Un sacrificio che rischia di essere vano, perché la Kaili è inguaiata dalla scelta di convocare l'anziano padre per fare sparire i sacchi dei soldi. «Non farò - fa sapere la donna - la fine di Ifigenia», cioè della vittima scarificale. Ma la nuova inchiesta della Procura europea non fa che aggravare la sua posizione.

L'inchiesta sulla rete «vasta e indeterminata» dei parlamentari corrotti ha ricevuto nuova linfa dalla decisione del tribunale di Bruxelles di tenere in carcere sia Panzeri che Giorgi confermando la gravità delle prove raccolte a loro carico: a partire dalla visita (impensabile in Italia) dei servizi segreti nella casa di Panzeri a Bruxelles, dove sono stati individuati per la prima volta i pacchi di banconote nuove di zecca.

Sul ruolo dei servizi segreti nella vicenda del Qatargate stanno emergendo ogni giorno nuovi dettagli. Secondo un rapporto citato ieri dal Corriere della Sera, i servizi belgi dopo avere avviato la loro attività hanno contattato i loro colleghi di altri cinque paesi occidentali, ma non quelli italiani. Il rapporto non spiega il motivo della omissione. Ma qualcuno della nostra intelligence ieri prende malissimo la notizia, e fa sapere alle agenzie di stampa che sia Aise che Aisi hanno collaborato alle attività dei servizi belgi sul fronte del Qatargate.

Capire quale sia la verità non è irrilevante. Perché se davvero da due anni - da tanto data l'avvio della indagine in Belgio - i nostri 007 avevano contezza della esistenza di una rete di corruzione all'interno del gruppo dell'europarlamento di cui fa parte il Pd avrebbero dovuto farlo presente al sottosegretario con delega ai servizi. Cioè, fino al 2021, a Piero Benassi, che oggi è rappresentante italiano proprio alla Ue. E dopo di lui a Franco Gabrielli, uomo di fiducia di Draghi ma anche del Pd. Cioè del partito italiano più coinvolto nella vicenda.

É avvenuto, sapevano? Al Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza, nessuno ha mai riferito niente, nonostante nella sua indagine conosciutiva dell'agosto scorso avesse individato proprio il Qatar tra i paesi più attivi nell'inquinare l'informazione. Quindi o qualcosa non ha funzionato. Oppure, e allo stato dei fatti e sulla base di fonti autorevoli, davvero i nostri servizi segreti erano all'oscuro di tutto. Non ne sapeva niente l'Aise, che in effetti non aveva motivo di venire coinvolta. E non ne sapeva niente neanche l'Aisi, l'agenzia per la sicurezza interna, che qualche motivo di interesse in più poteva averlo, ma che in questa fase non aveva grandi contributi da offrire alla indagine belga.

Anche il contributo degli altri servizi segreti europei alla attività degli 007 belgi si è ridotto, a quanto è dato capirne, a poca cosa. Tutto si è sviluppato a Bruxelles, e - da un certo momento - con la collaborazione della sicurezza interna dell'Europarlamento.

Non è stata una indagine difficile, gli indagati non prendevano alcun tipo di precauzione, come se non avessero percezione della gravità di quanto stavano facendo o, più probabilmente, contassero sull'impunità: ieri si scopre persino che Panzeri aveva lavorato in una commissione congiunta con Abderrahim Atmoun, l'ambasciatore marocchino a Varsavia che poi utilizza come «corriere» dei regali ai parlamentari.

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