Cari giudici italiani, il modo in cui cercate di prevenire i femminicidi proprio non va. Suona più o meno così la bacchettata che arriva dall'Europa su come vengono gestite le indagini e le denunce per stalking.
Stavolta a suonare la sveglia al sistema di giustizia italiano non è la Corte europea ma il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale con sede a Strasburgo, non Ue, che conta 46 Stati membri. «I dati dell'Italia - si legge nelle decisioni relative all'attuazione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - destano preoccupazione e riflettono una percentuale costantemente elevata di procedimenti relativi alla violenza domestica e sessuale interrotti nella fase istruttoria».
Insomma, di violenza sessuale si parla in tutte le salse. Ma poi ci si imbroda nella fase cruciale delle indagini, lasciando spesso inascoltate le denunce per stalking. Ed è pur vero che tra queste (12.200 solo nel 2022) molte sono fuffa e frutto di vendette di coppia, soprattutto se di mezzo c'è una separazione. Ma altre restano carta morta, archiviate, e poi si traducono in 11 coltellate alla schiena o in aggressioni talmente atroci da deformare il viso.
Un mea culpa andrà pur fatto se, dall'inizio dell'anno, le donne uccise sono 84, di cui l'ultima ieri a Tombolo nel Padovano. E se, tra le donne uccise, una su due aveva chiesto aiuto alle forze dell'ordine.
«Le ordinanze cautelari vengono utilizzate poco» scrive il comitato europeo che tuttavia apprezza «le modifiche al Codice di procedura civile e il rinnovo del monitoraggio parlamentare del fenomeno». Bravi nella teoria (cioè l'impianto delle leggi), tentenniamo nella pratica.
Uno dei punti su cui lavorare è l'archiviazione dei casi: in media una denuncia su tre finisce in un faldone negli scaffali e stop. E poi - cosa nient'affatto facile - è urgente affinare la capacità di valutare la pericolosità delle storie di violenza denunciate, per intuire quali potrebbero degenerare in delitti. Sono stati rilevati casi in cui la polizia giudiziaria non ha comunicato alla Procura i reati perchè le donne vittime di violenza hanno avuto paura e formalizzare una denuncia.
Da considerare anche il fatto che il giudice, nelle sentenze di primo grado, tende a ridurre le pene richieste dal pm: per un 65,7% di richieste di condanna sopra i 30 anni di carcere, al primo grado di giudizio vengono emesse pene oltre i 30 anni solo nel 45,5% dei casi.
Tra la richiesta del pm e la sentenza del giudice, la percentuale di ergastoli si dimezza, quella sotto i 15 anni raddoppia. In quasi un terzo dei casi, il giudice ha concesso delle attenuanti.
Il rapporto europeo getta sale su una ferita aperta di cui siamo ben consapevoli: «Viviamo una grande emergenza nazionale che colpisce la dignità stessa della nostra comunità - rileva Emma Petitti, vicepresidente della Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni - I femminicidi e le violenze contro le donne hanno raggiunto oggi numeri e brutalità mai viste. Bisogna, quindi, intervenire senza perdere più altro tempo». Emergenza, dice. Sì, emergenza se un giorno sì e due no, sulla stampa finisce la foto di una donna soffocata dal marito, annegata in un fiume, sgozzata, accoltellata. E via così, fino ad arrivare a donne fatte a pezzi e gettate in un sacco nero come spazzatura.
«Questo ennesimo richiamo segna gravi inadempienze ed è un riconoscimento del nostro lavoro, che ha come obiettivo quello di evidenziare le carenze del sistema di protezione delle donne che subiscono violenza» commenta Antonella Veltri, presidente di Dire, l'associazione delle donne in rete contro la violenza.
«È Dire che ha portato all'attenzione del Comitato dati e informazioni sul basso tasso di condanne, l'alto numero di archiviazioni e di violazioni delle misure cautelari, chiedendo un monitoraggio della riforma Cartabia e dei provvedimenti che il Governo dice di aver messo in essere. La richiesta è precisa: servono dati certi che il problema venga arginato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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