Un italiano su due ritiene che negli ultimi 12 mesi il Paese abbia peggiorato la sua situazione economica e sia aumentato il rischio di essere vittima di reati, secondo quanto riportato da un'indagine Censis per Conad. Ora, nessuna delle due percezioni corrisponde a verità. Le statistiche sulla criminalità sono in costante miglioramento come pure l'economia, cresciuta lo scorso anno e per il quinto consecutivo. Insomma, gli italiani hanno una percezione dell'andamento delle cose molto diversa dalla realtà. Allora, più che occuparci di loro, dell'economia e dei delinquenti, dobbiamo interrogarci sul sistema informativo a cui accedono i cittadini, dai giornali (elitari ma molto rimbalzati sui social) alla televisione, che sia di informazione o di intrattenimento sempre che qualcuno riesca ancora a cogliere la differenza.
Perché i media spargono disinformazione? Principalmente per agganciare il lettore/ascoltatore e per asservimento volontario alla politica. È un fatto che le persone siano morbosamente più attratte dal male che dal bene e che amino sentir rappresentati i loro problemi, per un senso diffuso di «mal comune mezzo gaudio». Non è una valida giustificazione per rendergli ciò che gradiscono, non se la merce in questione è l'informazione.
L'asservimento alla politica poggia invece su una perversa interpretazione della verifica di verità (oggi fact checking) alla base del giornalismo. Troppo spesso la verifica sulle dichiarazioni dei politici non è se ciò che dicono sia vero, ma se sia vero che l'hanno detto: se sì, la notizia è valida. Ad esempio, se un leader politico dice che piove, mentre splende il sole, la notizia diventa: secondo quel politico piove. Mentre le notizie da dare sarebbero altre: 1) splende il sole e 2) quel politico ha detto una sciocchezza.
Il sottoprodotto è che le notizie sono ciò che dicono, non ciò che fanno, quando e se lo fanno. Così l'informazione completa diventa far dire la sua anche all'opposizione e non certificare al lettore quale sia la verità dei fatti.
Giusto per agganciarci all'attualità, il caso Siri. Nella realtà, sono successe due cose: il 18 aprile il ministro gli ha tolto le deleghe e l'8 maggio il premier l'ha revocato da sottosegretario.
Eppure per 20 giorni i media hanno trasmesso il nulla, un ping-pong di dichiarazioni, nonostante una campagna elettorale in corso che avrebbe bisogno di ben altri approfondimenti o forse proprio per questo.Molti pensano, correttamente, che in democrazia uno sia libero di dire ciò che vuole. Però la democrazia ha bisogno di cittadini informati e dunque di una stampa che dica al lettore se l'affermazione sia vera.
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