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"Conta più l'immigrazione percepita. Gli sbarchi catalizzano le nostre ansie"

Il sociologo Maurizio Ambrosini: "Basta un caravan di rom in strada per generare l'idea dell'invasione. Il pericolo è più sentito nelle piccole comunità"

"Conta più l'immigrazione percepita. Gli sbarchi catalizzano le nostre ansie"

Dopo i fatti di Macerata è diffuso un senso di intolleranza e di fastidio. Ma si può aver paura per la presenza degli immigrati sul territorio? «Certo che si può spiega Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori alla facoltà di Scienze politiche dell'Università di Milano - I numeri dicono poco alla gente, è la percezione che conta: basta un caravan di rom posteggiato in una strada di un qualsiasi comune per generare l'idea dell'invasione e cento mendicanti in città per sentirsi sotto assedio».

Da cosa nasce questa distorsione?

«Il senso di paura deriva dai timori legati alla globalizzazione che ha provocato recessione e impoverimento generale. E gli sbarchi, seppure diminuiti, diventano un catalizzatore delle nostre ansie».

Allora siamo tutti un po' razzisti?

«No, affatto. Ma viviamo frustrazioni e rabbia che chiedono spiegazioni. E la risposta che punta sugli immigrati come responsabili ha il pregio di costruire un noi, di restaurare l'idea della comunità perduta. Il senso del pericolo, tra l'altro, si avverte soprattutto dove ci sono pochi immigrati, quindi nelle comunità pacifiche, nelle zone rurali, nei comuni interni».

Come a Macerata.

«In questa fase incattivita, la gente non ha remore a fare discorsi di odio. Si generalizza, si cade nel vittimismo. Da una parte gli italiani pensano di essere invasi e quindi vogliono difendersi, dall'altra gli stranieri ritengono che tutti gli italiani siano intolleranti, razzisti e le donne siano tutte scostumate».

Immigrazione però significa anche microcriminalità, spaccio.

«Gli immigrati non sono necessariamente buoni. E i giovani maschi adulti delinquono nelle forme più manifeste. Nello spaccio hanno sostituito la manodopera italiana nei livelli più bassi della criminalità».

Sembra quasi che gli immigrati siano agnellini...

«C'è molta visibilità di alcune componenti che a volte diventa inquietante. I giovani africani se girano in gruppo per le strade facilmente suscitano l'idea di una città spossessata della sua identità».

Non sono rassicuranti, visti di sera...

«Ma ad andare in crisi sono soprattutto certe fasce di popolazione, quelle più deboli: gli anziani, le casalinghe. La loro visione dell'immigrazione è molto influenzata dalla tv che offre molta cronaca nera».

Però con meno immigrati gli italiani avrebbero più possibilità ad ottenere ciò che gli spetta.

«Molti si sentono spossessati dei diritti ma la restrizione dei servizi è dovuta a problemi economici generali che poco c'entrano con l'immigrazione. Se portiamo sul discorso contribuzione, per esempio, gli immigrati danno più di quanto ricevono. Solo il 2% di loro sono in pensione e pesano poco sulla voce più costosa della previdenza».

Però hanno la precedenza negli asili per esempio e intasano i pronto soccorsi.

«Ma pesano meno degli italiani.

Noi consumiamo la massima spesa sanitaria nell'ultimo anno della nostra vita e loro sono quasi tutti giovani adulti».

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