Chiude alla Lega, apre al Pd, si propone come mediatore. In una parola, non vuole andarsene. Volato in Francia, a Biarritz, per partecipare da dimissionario al G7, il premier Giuseppe Conte, che ha preteso di cucirsi su misura le domande (ammesse solo due, su Conte bis e su un nuovo governo con la Lega), ha fatto sapere che, a suo parere, lo stallo di queste ore fra M5s e Pd non riguarda la sua persona, («Non credo sia una questione di persone ma di programmi») e che il rapporto con la Lega «è una stagione politica chiusa che non potrà più riaprirsi». Da premier uscente, Conte mira dunque a rientrare e interviene da protagonista nella trattativa ritagliandosi la parte del facilitatore: «Mi auguro che i leader delle forze politiche, che stanno lavorando per dare una prospettiva al Paese, lavorino bene e intensamente». Sono parole che dal Pd attendevano come conferma che con la Lega non è aperto un altro forno, un'altra trattativa parallela, e che le intenzioni del M5s sono vere. Ma Conte ha parlato anche del programma del nuovo governo, lasciando intendere che la base da cui ripartire è il suo discorso pronunciato al Senato: «Alcuni temi li ho anche indicati perché avendo maturato un'esperienza diretta di governo, credo di potere indicare quali siano le soluzioni di cui il Paese ha bisogno». Da qui insomma le prossime mosse: «Abbiamo detto dell'economia circolare. Un piano di investimenti molto più robusto. Dobbiamo rendere il Paese sempre meno permeabile alla corruzione. Gli uomini, le persone sono al momento secondarie». Si compie così la metamorfosi: da premier sopra le parti - come ha sempre detto di considerarsi - diventa giocatore e indossa la casacca del Pd a cui chiede la riconferma. E infatti, dalle parti della Lega, l'uscita di Conte, viene letta come una vera ricandidatura che svela finalmente le sue autentiche ambizioni e che ne scredita irrimediabilmente il suo recente passato. I parlamentari del Carroccio e Matteo Salvini, subito dopo le sue parole, hanno iniziato a chiedersi: «Ma è lo stesso Conte che per un anno ci ha aiutato a fermare i barconi e chiudere i porti? In una settimana passa dalla Lega al Pd? Che tristezza». Che l'operazione di Conte sia tuttavia acrobatica, lo comprende anche Nicola Zingaretti che invoca ancora discontinuità e che si racconta, per sparigliare, potrebbe perfino fare il nome di Roberto Fico o chiudere su quello di Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro ed ex presidente dell'Istat. Tramontata sembra invece essere la suggestione rosa che portava a Marta Cartabia, vicepresidente della Corte costituzionale. La sua nomina sarebbe stata una felice novità per l'Italia che non ha mai avuto un premier donna, ma è destinata a rimanere soltanto una suggestione. La stessa Cartabia si è chiamata fuori ieri dichiarando che intende completare il suo mandato alla Consulta che scade nel 2020. La possibilità di avere Giovannini premier resta quindi una delle uscite di sicurezza nel caso in cui M5s e Pd dovessero sottoscrivere il patto e non trovare l'intesa su Conte. Giovannini può anche contare sullo speciale rapporto che ha con il presidente della Camera, Fico. Nel periodo in cui Fico era solo un deputato del M5s e Giovannini ministro del governo presieduto da Enrico Letta, i due hanno avuto modo di conoscersi e apprezzarsi. Giovannini ha partecipato in veste di relatore a molte delle conferenze organizzate da Fico che continua a ritenerlo il pioniere del reddito di cittadinanza.
Più difficile rimane infine l'ipotesi di Raffaele Cantone, magistrato che il 23 luglio si è dimesso dall'Anac, ma più volte preso di mira dal M5s perché considerato «un ariete di Renzi» e da Grillo «lo smemorato di Collegno». Evaporano ancora nomi, prende vigore Conte e il tempo, intanto, si accorcia.
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