Le fughe in avanti di Matteo Salvini che gli hanno guadagnato grande popolarità e la «resistenza pacifica» del sottosegretario Giancarlo Giorgetti alle proposte pentastellate, a partire dal reddito di cittadinanza, ieri hanno determinato fragorose reazioni da parte del vicepremier Luigi Di Maio e, persino, del premier Giuseppe Conte, solitamente pacato. Le sfilacciature della maggioranza, ormai, si vedono a occhio nudo.
Su reddito e pensioni di cittadinanza e «quota 100» chi dice che non ci sono in legge di Bilancio «dice una bugia», perché nel ddl c'è «la ciccia, cioè i soldi», mentre le norme ordinamentali «non possono starci», ha spiegato Di Maio in una diretta Facebook trasmessa proprio per smentire le ipotesi di Giorgetti. «Subito dopo la legge di bilancio, intorno a Natale, si fa un Consiglio dei ministri e si fa un decreto», ha aggiunto anticipando che «la pensione di cittadinanza parte tra gennaio e febbraio 2019, il reddito di cittadinanza parte tra inizio e fine marzo». Si userà lo strumento del decreto perché «ci vorrebbe troppo tempo e c'è un'emergenza povertà», ha aggiunto ribadendo che «i soldi per la manovra ci sono: con questa Legge di Bilancio prendiamo 4 miliardi di tassazione in più su banche e assicurazioni».
Insolitamente anche il premier Giuseppe Conte, in visita ieri in Tunisia, ha voluto puntualizzare la sostenibilità del reddito di cittadinanza. «Posso confermare che ci sono le risorse sia per finanziare sia il reddito di cittadinanza che vogliamo, sia per finanziare la riforma della Fornero che abbiamo concepito e progettato», ha dichiarato confermando che il sussidio «partirà l'anno prossimo: siamo tutti consapevoli che la riforma andrà fatta con grande attenzione, non siamo irresponsabili, ma è una proposta qualificante del programma politico». Un'altra replica è stata dedicata alle critiche dei media. «Le cifre le facciamo noi avendo contezza dei dati Istat, decidendo noi la platea: le altre non contano», ha affermato il premier.
Giorgetti ha spiazzato gli alleati costringendoli a una serie di precisazioni che sono risuonate quanto meno stucchevoli. Si è innescata così l'ennesima spirale propagandistica. Nel suo video messaggio, infatti, Di Maio ha elencato le azioni che il M5S intende portare avanti a Palazzo Chigi. Il primo obiettivo è «più soldi a Università, scuola e ricerca per investire in formazione». Per le coperture ci sono «ancora tanti soldi da tagliare» tra le quali «le detrazioni e gli sgravi fiscali ai petrolieri». Per quanto riguarda le pensioni d'oro, «voglio recuperare ancora di più e quindi stiamo lavorando al meglio alla norma per farla entrare nella legge di Bilancio». Infine, i capisaldi della giustizia e della Tav. «Lo stop alla prescrizione è entrata nel contratto di governo», ha spiegato Di Maio e perciò «si farà, magari ci sono dei problemi interni alla Lega, non lo so e non mi interessa». La Tav, ha concluso, «non ci serve: è stata progettata 30 anni fa quando si sprecavano soldi».
Nel Movimento ognuno difende il Lebensraum. E così anche la manifestazione leghista dell'8 dicembre a Roma in chiave sovranista ha meritato una puntualizzazione piccata del presidente del Consiglio, per nulla contento dei continui calci negli stinchi di Salvini & C. alla Commissione.
«I leader politici organizzano manifestazioni che rientrano nella fisiologia del dibattito politico, anche vivace, ma come presidente del Consiglio interloquisco io con le istituzioni europee e caratterizzo io il tono di questa interlocuzione», ha detto confermando l'intenzione di «illustrare personalmente i contenuti della manovra» e a spiegare al presidente Juncker e a i commissari «come sia il frutto di un lavoro serio e responsabile». L'armonia degli inizi è un ricordo.
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