La politica estera condotta da Giuseppe Conte quando si trovava a Palazzo Chigi fa discutere. Per la rubrica il bianco e il nero ne abbiamo parlato con Piero Ignazi, docente di scienze politiche e sociali all'Università di Bologna, e Luigi Di Gregorio, docente di Scienza Politica presso l'Università della Tuscia di Viterbo.
Le nuove rivelazioni sul Russiagate accendono i riflettori sui rapporti tra Trump e “Giuseppi”. Secondo lei, Conte ha consentito una simile ingerenza per interessi personali o per una 'sudditanza psicologica' nei confronti del presidente Usa?
Di Gregorio: “Io ci vedo soprattutto una 'convergenza politica', almeno nella prima fase, dato che siamo ancora nel Governo Conte I, con la maggioranza 'giallo-verde'. Non ho elementi per valutare eventuali interessi personali, se non quelli di una maggiore centralità e visibilità come premier e come leader politico, suggellate dal famoso tweet di Trump su Giuseppi. La convergenza su Trump però la spiego proprio lungo l’asse giallo-verde, di cui l’ex Presidente degli Stati Uniti era un grande interprete: simultaneamente anti-casta e sovranista, per dirla con termini a noi consueti. Erano gli anni del Conte orgogliosamente populista, per intenderci”.
Ignazi: “Non saprei quale potrebbe essere l'interesse personale di Conte. Quel che sembra evidente è che, quando l'America chiama, tutti i presidenti della storia della Repubblica italiana rispondono. È una prassi che va avanti dal '47 e, perciò, non mi stupisce più di tanto. Francamente non capisco nemmeno il motivo di tanta enfasi su questo episodio che si inserisce in una lunga tradizione di asservimento della politica italiana agli interessi statunitensi”.
È possibile che gli stretti rapporti che Conte ebbe con i russi siano alla base della sua attuale linea anti-militarista?
Di Gregorio: “La posizione antimilitarista mi sembra abbastanza coerente con la linea del Movimento 5 Stelle delle origini. Tuttavia, mi sembra di poter dire che quella posizione 'né con e né contro' sia durata poco. È da un mese circa che sostiene di essere favorevole ad aiuti anche militari all’Ucraina, per cui – fermi restando i rapporti frequenti e in qualche modo privilegiati con Putin e con la Russia – direi che Conte si è assestato nel tempo su posizioni più nette e più in linea con la maggioranza degli altri partiti italiani e occidentali”.
Ignazi: “Non vedo una connessione anche perché non vedo quali siano stati i grandi rapporti con la Russia da parte dei Cinquestelle e di Conte. Altre formazioni hanno avuto rapporti ben più intensi, stretti e amichevoli”.
Nel 2019 l'Italia firma l'accordo con la Cina sulla “via della Seta”. Perché, secondo lei, Conte avvalla questa operazione?
Di Gregorio: “L’Italia è stato il primo paese dell’Unione europea a firmare un accordo quadro che rientra nella 'nuova via della seta' (la Belt and Road Initiative, come è conosciuta e denominata negli Stati Uniti). Tutto sta a capire quale sia il vero obiettivo della Cina. Da tempo, negli USA pare abbastanza chiaro che l’obiettivo sia quello di estendere l’area di influenza cinese, il soft power internazionale e di sfidare apertamente il colosso americano nella techonomics war del ventunesimo secolo. Verosimilmente, nel 2019, il nostro governo non aveva abbracciato questa interpretazione che ha ovviamente importanti ricadute geopolitiche. Draghi su questo sembra voler chiaramente cambiare rotta. A maggior ragione con la guerra russo-ucraina in corso, è verosimile che il mondo si ri-divida in due grandi schieramenti. In questo scenario, è bene prendere posizioni nette, tra mondo libero e autoritarismi”.
Ignazi: “Trattare, come è stato fatto durante la prima fase del Conte 1, con superficialità il rapporto con la Cina è la dimostrazione della grande inesperienza tipica di chi è arrivato alla ribalta della politica senza avere dimestichezza con i grandi dossier internazionali. Basti pensare che il giorno dopo i cinesi sono andati in Francia a concludere accordi miliardari. Anche qui noi italiani non abbiamo raccolto niente dal punto di vista economico e abbiamo fatto una brutta figura nei confronti degli alleati”.
Ora Conte si professa filo-europeista eppure non si è schierato apertamente contro Marine Le Pen. Tutta questa ambiguità è controproducente per un ex premier oppure è pura e semplice tattica politica?
Di Gregorio: “L’incoerenza dei leader è ormai un dato di fatto, da diversi anni. Non a caso, io tendo a definirli più follower che leader: inseguono gli 'sciami' dell’opinione pubblica per riposizionarsi costantemente nel mercato elettorale. Nel caso del Movimento 5 Stelle, peraltro, siamo di fronte a un partito che aveva questo 'vizio' fin dalle origini. Al di là del posizionamento fortemente antiestablishment, quel partito è sempre stato rappresentato da tante anime e da altrettante posizioni. Non a caso, una volta al governo, ha avuto grandi difficoltà. Perché quando governi devi decidere, prendere una posizione, non dieci diverse e simultanee. Credo che Conte stia ancora provando a 'surfare' su questo caleidoscopio di posizioni, con sempre maggiore difficoltà, però. Perché una cosa è cambiare idea continuamente, un’altra è avere idee diverse nello stesso momento, un’altra ancora è non prendere mai posizione. Nella società polarizzata odierna, in cui addirittura i grandi brand si schierano, facendo brand activism, restare neutrali su molti temi-chiave non aiuta di sicuro”.
Ignazi: “Penso che Conte si sia allineato alla posizione di Melenchon. Se non ricordo male la sua dichiarazione era molto simile a quella del leader della sinistra francese: tutto lo divideva da Marine Le Pen e, nello stesso tempo, non si sentiva un sostenitore di Macron”.
Alla luce di tutto questo, Conte può ancora ambire a fare nuovamente il premier?
Di Gregorio: “Difficile dirlo. E mi sembra una domanda prematura, nel senso che ha altri nodi da sciogliere prima di pensare a poter rifare il premier. In primis, deve capire qual è la sua reale legittimazione come capo politico del Movimento 5 Stelle. Al di là delle questioni burocratico-normative, è evidente che diversi pezzi del partito (anche importanti) non gli riconoscono del tutto la leadership. In secondo luogo, restano i problemi di posizionamento. Cosa pensa oggi il Movimento 5 Stelle su tutti i temi-chiave per l’opinione pubblica? Ha una posizione condivisa, ne ha 5 diverse o non ne ha nessuna? Ancora, servirebbe un tema distintivo, come fu quello anti-casta e della “superiorità morale” tra il 2013 e il 2018. In cosa si distingue oggi il Movimento 5 Stelle? Ha un tema tutto suo da rivendicare e su cui costruire un nuovo consenso? In pratica, per dirla con la terminologia del marketing politico, Conte ha un problema di leadership, di messaggio e di “issue ownership” (tematiche dominate dal suo partito).
Quando mancano queste tre cose, pensare alla presidenza del consiglio mi pare decisamente prematuro e secondario…Occorre prima mettere in sicurezza il partito e il suo capo, poi si vedrà”.Ignazi: “Ne dubito molto. Credo che la sua stagione politica sia passata e non credo che Conte tornerà di nuovo a essere una figura apicale nella politica italiana”.
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