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Contro il nemico comune serve la pace con Putin

Ora, la Russia è non solo in prima linea nella lotta per la difesa dei cristiani del Medio Oriente, ma ha anche nelle Repubbliche caucasiche problemi con il terrorismo jihadista addirittura più acuti dei nostri

Contro il nemico comune serve la pace con Putin

Gli islamisti, forse non tutti affiliati ma certo affini all'Isis, dilagano, conquistando l'aeroporto di Tripoli e disponendo ormai - secondo l'intelligence americana - di strutture in 24 Paesi. Per una volta tutti sono d'accordo che bisogna fermarli finché siamo in tempo. E allora è venuto anche il momento di domandarsi se è il caso di continuare con la guerra di sanzioni contro la Russia per i suoi interventi nell'Ucraina orientale che fa male ad entrambi, quando è chiaro che abbiamo nell'estremismo islamico un nemico comune molto più pericoloso. Il sorgere del Califfato, con la sua barbara ideologia e le sue mire egemoniche, sta rimescolando il vecchio quadro delle alleanze, e richiederà comunque una vasta intesa tra tutti gli altri Paesi per venirne a capo. Ora, la Russia è non solo in prima linea nella lotta per la difesa dei cristiani del Medio Oriente, ma ha anche nelle Repubbliche caucasiche problemi con il terrorismo jihadista addirittura più acuti dei nostri. Di fatto, i suoi due alleati nella regione, l'Iran e la Siria, si sono già schierati contro l'Isis e a Washington cresce la pressione per un riavvicinamento ad Assad, che Obama vorrebbe rovesciare ma che si è ritrovato a bombardare le posizioni dei terroristi nel suo Paese nelle stesse ore in cui gli americani lo facevano in Irak. Una parte dei 25 o 30mila combattenti del Califfato provengono dalla Cecenia o dal Dagestan, e potrebbero tornare a seminare il terrore in Russia esattamente come - secondo l'allarme diffuso in questi giorni dai servizi - quelli di nazionalità inglese o francese si appresterebbero a fare nei rispettivi Paesi. Se Putin si schierasse senza riserve al fianco dell'Occidente nel lungo e difficile scontro che ci aspetta, l'attuale braccio di ferro che fa addirittura temere un ritorno alla guerra fredda verrebbe automaticamente stemperato.

Si obbietterà che l'annessione della Crimea e il sostegno che lo zar Vladimir ha dato - e continua a dare, nonostante il pronto ritiro del convoglio umanitario entrato in Ucraina senza l'ok di Kiev - ai separatisti filorussi non possono restare impuniti, se si vuole porre un argine al nuovo imperialismo del Cremlino. La realtà è che il ping-pong di sanzioni cui abbiamo assistito non ha modificato né la situazione sul terreno, né l'atteggiamento di Putin, ma ha solo danneggiato le rispettive economie in un momento difficile per entrambe. Gli ulteriori giri di vite previsti non farebbero che inasprire le tensioni e aumentare il rischio di un conflitto in piena regola.

C'è da aggiungere che il pieno appoggio che Ue e Usa danno oggi all'Ucraina non riscuote unanimi consensi neppure in Occidente. Da un lato, c'è chi osserva che la spinta dell'Unione europea verso il cuore dell'ex Urss è non solo pericolosa, ma porterà comunque più problemi che vantaggi a Bruxelles. Dall'altro, bisogna prendere atto che le ragioni dei separatisti di Donetsk e Lugansk non sono del tutto campate in aria, e che la decisione di Kiev di riprendere il controllo delle due province con la forza, anziché trattare per concedere loro una maggiore autonomia è perlomeno discutibile. L'esercito di Kiev sta applicando tattiche che rasentano i crimini di guerra, bombardando con aerei e cannoni civili che, anche se dissidenti, sono pur sempre suoi concittadini. La cancelliera Merkel ha cercato anche ieri, esercitando per la prima volta una forma di leadership europea, di spingere Russia e Ucraina a un compromesso che renderebbe superflue anche le sanzioni. Forse, l'argomento di un patto contro l'estremismo islamico potrebbe essere di aiuto.

Siamo in un momento molto pericoloso, con una allarmante moltiplicazione dei conflitti. Se grazie a quello scatenato dall'Isis si riuscisse a contenere quello per l'Ucraina, la tensione si allenterebbe, il perverso e costoso gioco delle sanzioni potrebbe - magari gradualmente - finire. Come sempre, molto dipende da come si muoverà l'America, che finora è stata alquanto riluttante ad approfittare delle nuove circostanze, per esempio bombardando l'Isis non solo in Irak, ma anche nelle sue basi in Siria.

Molti si oppongono, ma mai come in queste circostanze dovrebbe valere il vecchio detto: «I nemici dei miei nemici sono miei amici».

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