Corsa ai sottosegretari Conte fa l'americano con Salvini e Di Maio

Tornato dal G7, forte della spinta di Trump, il premier vuole imporsi sui due leader

Dev'essere stato sulle ali dell'entusiasmo per le pacche sulle spalle di Donald Trump, che il premier Giuseppe Conte ieri ha chiesto e ottenuto un secondo risultato da «vero presidente del Consiglio» e «really great guy», come lo ha insignito il recente amico americano: anticipare un vertice con i suoi vicepremier onde raccontare il «dietro le quinte» del G7 canadese. Ma soprattutto, questa era l'intenzione di Conte, spingere sull'acceleratore per far partire a razzo il governo, così come deve avergli raccomandato Trump.

Non ci sono stati problemi, sulla carta. Luigi Di Maio gli ha subito detto di sì, confermando (in pratica annunciando al posto del premier) l'appuntamento in televisione dall'Annunziata. «Un primo momento di riflessione sulle deleghe ministeriali e per individuare i viceministri e i sottosegretari», ha spiegato il ministro del Lavoro-Mise con il più classico degli understatement da politico navigato. «Non si tratta di parlare di una questione di quote di governo... Non c'è nessun accordo tipo manuale Cencelli, cercheremo solo di individuare le persone con le sensibilità adeguate». Tradotto dal neo-ministerialese: partita ancora aperta, figuriamoci se sono così ingenuo da lasciarmi scappare un nome, non lasceremo alla Lega senza adeguate contropartite i ministeri che interessano a Berlusconi. Non a caso Di Maio cita le deleghe sulle telecomunicazioni, «che sono del ministero che rappresento».

Più complicato l'approccio di Conte con Matteo Salvini, ieri alle prese con la prima crisetta diplomatica sullo sbarco di una nave Ong carica di profughi. Il titolare del Viminale, non senza essere stato accusato dal Pd di aver usato il tema per influenzare le elezioni a urne aperte, si è così presentato a Palazzo Chigi con un diavolo per capello e dopo un'ora e mezza di attesa degli altri due, più il sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti. Nella lunga attesa, Conte ha cominciato a raccontare di Charlevoix e dell'ottimo asse strategico inaugurato con Trump che lo ha invitato «al più presto» a Washington. Sulle nomine, tra le quali sono comprese anche quelle ai vertici di Aisi e Asi, pare che si sia raggiunto un accordo di massima, almeno sulla rosa dei potenziali super-007. Sul Copasir, Di Maio già in tv aveva precisato che, com'è prassi, la presidenza andrà all'opposizione, «ma lo deciderà il Parlamento quali sono i soggetti che ambiscono e sono legittimati». Lo stesso sarebbe per la Vigilanza Rai, ha aggiunto con perfidia, «ma la libertà del Parlamento va dimostrata in questa fase senza che ci sia interferenza con l'esecutivo». Dunque è lecito aspettarsi un altro schiaffone al Pd, se non la smetterà con la sua sfegatata propaganda contro un governo che, per la verità, ancora si sta insediando. Per il Copasir, resta sul tappeto la carta che i gialloverdi vorrebbero giocare per avvicinare alla maggioranza il più possibile i Fratelli d'Italia, quindi la presidenza potrebbe toccare a loro.

Come sempre ultraspinoso il tema riguardante viceministri e sottosegretari. Nel «toto» di ieri sono sembrate salire le quotazioni di Fabiana Dadone e Tony Iwobi per il Viminale (a quest'ultimo sarebbero delegati i flussi migratori).

Alla Farnesina dovrebbe trovar posto un esponente del Maie (Ricardo Antonio Merlo). Ancora non dipanato il groviglio di candidature per il Mef: Armando Siri sembra il favorito per la vicepoltrona di Tria. Tra gli altri «certi» Andrea Cioffi ai Trasporti e Lucia Borgonzoni all'Ambiente.

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