Pagamenti elettronici a casa. Ecco che cosa può cambiare

Durante l'audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, i giudici contabili hanno chiesto di estendere l'obbligo di pagamento tracciato "alla corresponsione degli emolumenti ai collaboratori familiari"

Pagamenti elettronici a casa. Ecco che cosa può cambiare

Combattere l'evasione fiscale estendendo l'obbligo di pagamento tracciato anche per colf e badanti. È la proposta che la Corte dei Conti fa al governo nel corso dell'audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato.

Nella loro relazione sulla legge di bilancio 2020, sbarcata al Senato e di cui è ufficialmente iniziata la discussione che porterà all'ok del Parlamento entro fine anno (in caso contrario scatterebbe l'esercizio provvisorio), i magistrati contabili si sono soffermati a lungo sulla necessità, da parte del governo, di contenere la spesa, rimarcando alcune criticità come quella su evasione ed elusione fiscale. Fenomeni, questi ultimi, da combattere secondo la Corte dei Conti mediante l'obbligo di pagamento elettronico dei collaboratori domestici, ovvero colf e badanti. In questo modo, infatti, "la corresponsione degli emolumenti" ai collaboratori familiari darebbe luogo a detrazioni del 19%, ponendo un freno all'evasione che, in questo settore, varrebbe 1 miliardo di euro.

Un settore tra i più importanti dell'economia italiana. A dirlo è l'ultimo studio realizzato da Assindatcolf (Associazione nazionale datori di lavoro domestico) in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche Idos. Si parla di una porzione rilevante (il 9%) del Pil nazionale, ovvero 139 miliardi di euro. 25 i miliardi di tasse e contributi versati da colf e badanti, cifra superiore a quella spesa dallo Stato per farsene carico. 2 milioni e 455mila gli immigrati regolarmente impiegati in Italia nel settore della cura e dell'assistenza domiciliare, con un'incidenza che supera il 70% del totale. Su 859.233 colf e badanti regolarmente censiti negli archivi Inps a fine 2018, 613.269 erano immigrati.

Ma qualcosa non va. Secondo il vicepresidente di Assindatcolf, Andrea Zini, "nel 2012 i lavoratori stranieri regolarmente impiegati nel comparto erano 823mila. In 7 anni si sono persi 210mila posti di lavoro", l'allarme lanciato da Zini. La responsabilità è da ricercare, secondo quest'ultimo, in una "politica che non ha saputo riformare il welfare familiare e valorizzare questa forza lavoro, contribuendo al contempo al dilagare del lavoro nero o grigio che nel settore ha percentuali altissime: si stima infatti - spiega Zini - che 6 domestici su 10 siano irregolari, ovvero 1,2 milioni di lavoratori".

Una realtà dovuta alla complicità che nasce quasi sempre tra datore di lavoro e lavoratore domestico. Non dichiarare il rapporto di lavoro significa per il primo non dovere pagare i contributi, per il secondo non pagare le imposte. Un vantaggio reciproco che danneggia l'economia italiana. Da tempo lo Stato prova, inutilmente, ad arginare il fenomeno. Si calcola che siano appena 300 gli accertamenti annuali svolti dai soggetti competenti, Guardia di Finanza e Ispettorato nazionale del lavoro. Il motivo è da ricercare nel Dpr 520/1955 che contiene l'elenco dei luoghi dove si può esercitare l'attività ispettiva. Nell'elenco non ci sono le abitazioni private, nelle quali non valgono dunque le normali regole sull'accesso ai luoghi di lavoro.

Quei pochi casi di irregolarità scoperti derivano da segnalazioni degli stessi lavoratori domestici, dovute a controversie con le famiglie o alla fine del rapporto di lavoro.

Una situazione che si protrae da lungo tempo e a cui la Corte dei Conti ha dichiarato guerra. Ora la palla passa a governo e Parlamento.

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