"Così fu bloccata la riforma dello Ior"

Francesco chiese di modificare lo statuto del 90. Ma tutto si arenò

"Così fu bloccata la riforma dello Ior"

«Santo padre, abbiamo analizzato una parte di documentazione sullo Ior e siamo arrivati alla conclusione che all'interno dell'istituto ci sono alcune anomalie da sistemare». «Perché, eminenza, lei dice una parte di documentazione?». «Perché lo Ior, nonostante la nostra insistenza, non ci ha mai fornito i documenti che abbiamo richiesto». Il dialogo tra il porporato e papa Francesco si svolge nella residenza di quest'ultimo, la Domus Sanctae Marthae, nell'autunno del 2013. Attorno al tavolo sono seduti, oltre al papa e a qualche altro stretto collaboratore, i membri della Pontificia commissione referente sull'Istituto per le opere di religione, un gruppo di lavoro costituito dallo stesso Bergoglio nel giugno di quell'anno per fotografare la situazione dello Ior e formulare delle proposte di riforma. Ci sono il cardinale Raffaele Farina, presidente della commissione, il cardinale Jean-Louis Tauran, monsignor Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, coordinatore, monsignor Peter Wells, segretario, e Mary Ann Glendon, una diplomatica americana che da lì a qualche mese sarà nominata membro del Consiglio di sovrintendenza dello Ior (lascerà l'incarico nel febbraio del 2018).

Durante la riunione (...) viene spiegato a voce al pontefice cosa potrebbe fare per migliorare lo Ior e risolvere, allo stesso tempo, tutti i problemi che lo affliggono dai tempi di Paul Marcinkus. A riferircelo è uno dei partecipanti laici all'incontro, che ha chiesto di rimanere anonimo per ragioni di sicurezza. «Santo padre, in Vaticano servirebbe una banca centrale senza sportelli che curi gli investimenti dello Stato, che dovrebbero essere secretati. E poi una banca con gli sportelli, lo Ior, per pagare soltanto gli stipendi dei dipendenti ed espletare tutte le altre questioni finanziarie interne. In questo modo si risolverebbero molti problemi. Inoltre crediamo che lo Ior debba modificare il proprio statuto, perché quello attuale è ancora fermo al 1990 e risulta obsoleto rispetto alle novità successive che sono arrivate negli anni, come la nascita dell'Aif (l'authority vaticana che vigila sulle finanze d'oltretevere, nda). Andrebbe rivista soprattutto la parte che riguarda i revisori e il bilancio». «Bene, lavoriamo allora in questo senso», replica Francesco.

Da quella riunione sbrigativa è emersa una questione delicata: un clima all'interno e intorno allo Ior del tutto simile a quello che si respirava ai tempi di Marcinkus e soprattutto una tenace resistenza a fornire documenti alla commissione pontificia. () Per redigere il nuovo statuto, come richiesto dal pontefice, la commissione interpella Rolando Marranci, l'allora nuovo direttore generale, il quale vi si dedica alacremente. «Marranci aveva già sulla scrivania una bozza del nuovo statuto su cui stava lavorando» ci svela la fonte. Poi, però, all'improvviso, tutto si arena. Nel 2015 Marranci lascia la direzione dell'istituto e a tutt'oggi non c'è ancora un nuovo statuto: su questo fronte lo Ior è ancora fermo al 1990. «La commissione voluta da Bergoglio era scomoda» ci dice il testimone diretto di quella riunione. «Sembrava andare in una direzione non gradita, per questo si è dovuta scontrare con il muro di gomma eretto dallo Ior. Ma era come se, oltre ai vertici dell'istituto, ci fosse dietro una rete di persone che faceva in modo che la commissione non arrivasse alla fine. E infatti, dietro sollecitazione del cardinale Jean-Louis Tauran, si decise di chiudere il gruppo di lavoro, perché non riusciva più ad andare avanti. (...) Una mattina il cardinale Raffaele Farina e il cardinale George Pell andarono dal papa che comunicò loro la decisione di sciogliere la commissione referente». (...) Da allora non si è più parlato del nuovo statuto e la banca vaticana ha continuato a operare come se nulla fosse accaduto.

A una nostra richiesta di avere un colloquio personale per comprendere la nuova linea di condotta dell'istituto rispetto al passato, il presidente JeanBaptiste de Franssu ha risposto con un «No, grazie». Forse perché poco è cambiato, e le nuvole di fumo della pipa di Paul Marcinkus aleggiano ancora nelle stanze della banca vaticana.

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