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Così nel 2007 lo Zar anticipò la guerra

Sempre a Monaco Putin tuonò contro la Nato e l'unilateralismo Usa

Così nel 2007 lo Zar anticipò la guerra

Con il senno di poi potremmo dire che tutto era già scritto. E che la guerra per l'Ucraina non è iniziata il 24 febbraio 2022, ma 15 anni prima proprio in seno a quella conferenza di Monaco trasformata oggi in una corte d'accusa alla Russia. Forse se avessimo dato peso alle parole pronunciate da Vladimir Putin il 10 marzo 2007, durante la stessa Conferenza, avremmo compreso con largo anticipo quanto rischioso fosse il tentativo di allagare la Nato ad Ucraina e Georgia offrendo alla Russia la sensazione di un progressivo accerchiamento.

«La Nato - disse quel giorno il presidente russo - ha schierato le sue forze di prima linea alle nostre frontiere e noi non abbiamo ancora reagito». Una mossa definita «una seria provocazione che riduce il livello di reciproca fiducia. Per questo - aggiunse Putin - abbiamo il diritto di chiederci contro chi si rivolge questa espansione? E cosa ne è stato delle assicurazioni che i partner occidentali ci avevano dato dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia?». Dietro quelle domande non si celavano solo le aspirazioni di un presidente deciso a contenere l'espansione della Nato e restituire a Mosca il ruolo di grande potenza, ma anche l'umiliazione di un popolo russo convinto che la fine dell'Urss non fosse stata una liberazione, ma un'umiliante sconfitta. Un sentimento consolidato dal fallimentare approccio alla democrazia dell'era Eltsin.

Questioni ben comprese da Robert Gates il Segretario alla Difesa nominato dal presidente repubblicano George W. Bush, ma rimasto in carica anche durante la prima presidenza Obama. «Quando riferii al presidente (George W Bush) le mie impressioni sulla Conferenza di Monaco espressi la sensazione che dal 1993 in avanti l'Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, avessero malamente sottostimato l'enormità dell'umiliazione russa per la sconfitta nella Guerra Fredda» scrive Gates nel suo libro di memorie intitolato Duty (Dovere). Sensazioni ignorate - fa capire l'ex segretario - sia dal presidente Bush sia dal suo successore democratico. Eppure il risentimento di Putin nei confronti di un'America pronta ad allargare la propria influenza a un'Ucraina e una Georgia considerati retroterra naturali della Federazione Russa, era evidente. Anche perché le mosse sulle scacchiere di Kiev e Tblisi arrivavano dopo le vittorie sui talebani in Afghanistan e su Saddam Hussein in Irak che trasformavano gli Stati Uniti nell'indiscusso ago della bilancia dell'ordine mondiale.

Un «unipolarismo» duramente contestato da Putin proprio nell'ambito della Conferenza sulla Sicurezza del 2007. «Per quanto uno possa tentare di abbellire la situazione, alla fin dei conti siamo alle prese con una condizione in cui c'è un solo centro di forza, un solo centro d'autorità e un solo centro decisionale. In pratica ci troviamo - denunciò Putin - al centro di un mondo in cui c' è un solo signore e un solo sovrano». Parole a cui segui l'attacco a quella Georgia che dopo una «rivoluzione colorata» seguita dal passaggio allo schieramento filo-americano aveva pensato di poter sfidare il gigante russo. Quei 5 giorni di guerra combattuti tra i territori dell'Ossezia meridionale, di cui Mosca riconoscerà in seguito l'indipendenza, passeranno probabilmente alla storia come il prologo, più contenuto, di quanto successo 15 anni dopo in Ucraina.

Ma allora tutti fecero finta di non capire. Tutti tranne l'allora premier Silvio Berlusconi che spiegò così la sua mediazione con Putin e la richiesta all'Ue di non procedere con sanzioni verso la Russia.

«Spero ci sia concordia - auspicò - nel decidere di non dare sanzioni alla Russia. Bisogna assolutamente evitare che la crisi del Caucaso diventi la miccia per il ritorno alla guerra fredda». Una lungimiranza archiviata assieme alla sua leadership politica.

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