Non è solo una coincidenza se in questi stessi, tumultuosi mesi da due versanti della vita giudiziaria del Paese arrivano cronache che sembrano dare corpo, a oltre vent'anni di distanza, alla cupa profezia di Bettino Craxi: «Verrà il giorno in cui i magistrati si arresteranno tra di loro». Il film catastrofico che ha per set la Procura di Milano, l'implosione di quello che fu il tempio del pool Mani Pulite, non per caso arriva pochi mesi dopo che su Roma si è abbattuto il «ciclone Palamara», il cui eroe eponimo - trasformatosi in un lampo da accusato a accusatore - ha rivelato a un'incredula opinione pubblica il marcio che regnava nel Consiglio superiore della magistratura. I due psicodrammi sono intimamente legati, ognuno illumina l'altro e aiuta a comprenderlo. E non solo perché vi ricorrono nomi e volti, a partire da quelli dei grandi mestatori, gli avvocati Amara e Armanna: che nonostante le apparenze sono personaggi minori nell'economia generale, maschere da commedia di cui l'Italia pullula, pronte a svolgere due o tre o quattro parti in contemporanea. No, a unire i due film nella stessa trama - e non si capisce bene quale sia il prequel e quale il sequel - sono i meccanismi che hanno reso possibile tutto quanto, la trasformazione della Procura di Milano in una palestra di agonismo giudiziario e del Csm in un covo di traffici e accordi: ovvero il trionfo all'interno della magistratura italiana del correntismo e della autoreferenzialità, il ripudio organizzato e santificato di qualunque forma di controllo democratico sull'esercizio del potere giudiziario. Solo l'autocrazia del sistema in toga - a partire dal suo braccio secolare, l'Associazione nazionale magistrati, talmente potente da ridurre a volte in posizione subalterna il Csm - ha permesso che le posizioni dominanti venissero occupate sistematicamente dagli uomini delle correnti. Solo l'impermeabilità a qualunque refolo di rinnovamento ha consentito che a Milano lo stesso gruppo di magistrati gestisse senza soluzione di continuità per trent'anni la Procura della Repubblica. Il Consiglio superiore ha benedetto questa occupazione un po' per pavidità, e un po' perché funzionale al sistema di valori che nel Csm lottizzato aveva la sua consacrazione. Ora crolla tutto, e c'è poco da gioirne.
C'è semmai da restare stupiti di quanto le correnti organizzate dei giudici non si rendano conto che la loro epoca è finita. Chissà se dopo l'esito sorprendente del referendum indetto dall'Anm domenica scorsa, con il 41 per cento che vota a favore del sorteggio del Csm, qualcuno inizierà a farsi delle domande.
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