Il Cremlino sta con i serbi. Usa, un messaggio a Kurti

Pristina esclusa dall'esercitazione della Nato. Ancora proteste slave contro i sindaci albanesi

Il Cremlino sta con i serbi. Usa, un messaggio a Kurti
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I serbi nel nord del Kosovo continuano a manifestare contro l'insediamento, imposto da Pristina, dei sindaci albanesi, che rappresentano appena il 3 per cento della popolazione in rivolta nei comuni nel Nord del Kosovo. Gli americani, con una mossa a sorpresa, hanno espulso l'embrione dell'esercito kosovaro che stava partecipando all'esercitazione Nato, Defender 23, a guida Usa. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto chiaramente: «Al momento non ci sono responsabilità della Serbia. Ho chiesto al primo ministro kosovaro di sospendere l'insediamento dei sindaci che rappresentano la popolazione di lingua albanese in quella parte del Kosovo proprio per evitare tensioni».

Il premier kosovaro, Albin Kurti, si è detto «sorpreso» della tosta reazione Usa: «Se fosse stata una protesta pacifica, avrebbe avuto la mia comprensione, ma non una manifestazione folle con la lettera Z (simbolo dell'invasione russa in Ucraina, ndr), dove sparano a soldati e poliziotti, lanciano granate, gridando uccidi, uccidi. A questa folla fascista, non cediamo la nostra Repubblica democratica». Non proprio una dichiarazione per calmare gli animi, ma subito dopo al bastone ha aggiunto la carota: «Se protestano pacificamente per chiedere elezioni anticipate, hanno un primo ministro più che disposto ad ascoltarli». Il problema è che i serbi dell'enclave del Nord non riconosceranno mai il governo di Pristina e l'indipendenza del Kosovo. E il pericolo è che Mosca ne approfitti per infilare spine nel fianco della Nato, come diversivo al conflitto in Ucraina. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha ribadito: «Sosteniamo la Serbia e i serbi senza dubbio».

Le dimostrazioni nelle municipalità a stragrande maggioranze serba di Zvecan, Zubin Topok e Leposavic sono continuate, ma senza incidenti di rilievo. I manifestanti chiedono a gran voce che i sindaci eletti il 23 aprile da un'esigua minoranza, a causa del boicottaggio serbo, se ne vadano assieme ai corpi speciali della polizia albanese. Le unità della missione Kfor della Nato, a cominciare dagli alpini della brigata Taurinense, presidiano il municipio di Zvecan dove sono scoppiati i violenti scontri di lunedì che hanno provocato 30 feriti fra i militari dell'Alleanza, compresi 14 italiani. Attorno all'edificio è stato piazzato il filo spinato, ma i serbi sono sfilati a migliaia in città con una gigantesca bandiera serba. I segnali più preoccupanti riguardano l'espansione della tensione: a Orahovac, cittadina multietnica nel sudovest del Kosovo, sono apparse scritte con la sigla «Uck», l'Esercito di liberazione del Kosovo. La guerriglia indipendentista albanese che si ribellò a Belgrado con l'appoggio della Nato. Altri incidenti a sfondo etnico si sono registrati a Gracanica, enclave serba a pochi chilometri dalla capitale Pristina, e a Lipljan.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha lanciato un appello, che suona come un ultimatum: «Il premier Kurti e il suo governo devono fare in modo che i nuovi sindaci espletino temporaneamente la loro attività di servizio da sedi alternative fuori dagli edifici comunali e che vengano ritirate le forze di polizia presenti nella zona». Anche i serbi non scherzano: il ministro della Difesa di Belgrado, Milos Vucevic ha visitato le truppe in stato di allerta al confine con il Kosovo.

Il comandante dell'Allied Joint Force Command della Nato di Napoli, l'ammiraglio Stuart Munsch, è arrivato in Kosovo per incontrare il generale italiano Angelo Michele Ristuccia che guida la Kfor. La Nato ha deciso l'invio di 700 militarci turchi della riserva operativa e un altro battaglione, composto anche da italiani, è in allerta.

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