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Il Creval crolla e perde il 40%. Torna la paura per le banche

Il Valtellinese brucia 140 milioni di valore in 2 giorni e spinge al ribasso il settore. Si temono futuri aumenti di capitale

Il Creval crolla e perde il 40%. Torna la paura per le banche

Una valanga. Che dalla Valtellina ieri è arrivata fino in Piazza Affari trascinando giù tutti i titoli bancari del listino. A scatenarla, infatti, è stato il Creval: martedì scorso a mercati chiusi l'istituto di Sondrio ha annunciato un aumento di capitale da 700 milioni e un piano industriale molto aggressivo varato per ridurre il rischio della banca e cedere i crediti deteriorati anche in vista della nuova stretta normativa imposta dalla Bce. La reazione della Borsa è stata violenta: le azioni del Credito Valtellinese hanno perso il 29% a 1,8 euro dopo una lunga sospensione per eccesso di volatilità. Ora il Creval vale 199 milioni, tre volte e mezza in meno rispetto alla ricapitalizzazione annunciata martedì. Ma la slavina ha affossato l'intero listino (-0,57%) dopo avere investito anche molti altri titoli del settore, a partire dalle altre «ex» popolari con Banco Bpm che ha lasciato sul terreno il 7,5%, Bper (-4,3%) e Ubi (-2,9%). Male anche il Monte dei Paschi, giù del 4,7% dopo la diffusione della trimestrale, Carige con un -4,4% mentre hanno tenuto le big Intesa (+0,2%) e Unicredit (+0,7%).

Torna, dunque, in Borsa la paura delle banche. Eppure lo scorso 21 ottobre il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, ha assicurato che il sistema creditizio «è stato messo al sicuro» e con il Pil «sta riprendendo a prosperare». Ma l'aumento del Creval conferma che la nottata non è ancora passata per tutti. Soprattutto sotto la pressione delle nuove regole annunciate da Francoforte sulla gestione dei crediti deteriorati. Le indicazioni poste in consultazione dalla Bce non sono vincolanti e riguardano solo i nuovi crediti dubbi generati a partire dal prossimo 1 gennaio, ma i target fissati dall'istituto valtellinese sulla copertura di sofferenze vengono considerati dei benchmark dal mercato che si interroga sulle necessità per altri concorrenti di aumentare le rettifiche sui crediti e gli accantonamenti. Tradotto: in Piazza Affari ci si chiede se il 2018 sarà un anno di altri aumenti di capitale per le banche italiane.

Martedì lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, nel chiedere uno sforzo congiunto per affrontare la questione dei cosiddetti non performing loans «in maniera ordinata» aveva sottolineato che «anche se i livelli di Npl sono scesi in maniera significativa dal 7,5% di inizio 2015 al 5,5% attuale, il problema non è ancora risolto». Carige sta per varare un aumento di capitale da 560 milioni (il 15 novembre si terrà il cda per fissarne il prezzo), il Banco Bpm - guardando il verdetto della seduta di ieri - è in cima alla lista degli istituti che secondo il mercato potrebbero aver bisogno di nuovi «antibiotici» per stroncare la febbre da Npl. Il Cet1 (l'indice di tenuta patrimoniale), secondo gli analisti di Bloomberg, potrebbe scendere all'11,1%: l'impatto delle nuove regole della Bce sarebbe di 52 punti, che sono in parte assorbiti dal piano di smaltimento delle sofferenze (8 miliardi entro il 2019), giunto a un terzo del percorso, con ulteriori 2,5 miliardi in uscita entro fine anno. L'ad di Bper, Alessandro Vandelli, ieri ha assicurato che la Popolare dell'Emilia Romagna non avrà bisogno di alcuna iniezione di capitale» ma intanto ha annunciato un piano al 2020 per la gestione dei crediti deteriorati, che include un intervento straordinario sugli accantonamenti per un miliardo di euro da effettuarsi all'inizio del 2018.

Quanto alla convalescente Mps (che ha perso tre miliardi in nove mesi ma ha chiuso in utile il trimestre), l'ad Marco Morelli attende una decisione definitiva della Vigilanza prima di dare una valutazione sull'addendum della Bce ma nel frattempo deve accelerare nella riduzione delle inadempienze probabili (che rischiano di trasformarsi in sofferenze).

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