Cronaca internazionale

Quella crisi scatenata da uno sceicco. Cresce ancora il peso delle finanza araba

"Non saliremo nel capitale del Credit Suisse": così il presidente della Saudi National Bank ha dato il via alle fibrillazioni sui mercati

Quella crisi scatenata da uno sceicco. Cresce ancora il peso delle finanza araba

A far scoppiare la bufera sul Credit Suisse e sulle altre banche europee è stato un tranquillo signore dal sorriso ironico e dall'inglese impeccabile. In un'intervista a Bloomberg Tv, un paio di giorni fa, Ammar Abdul Wahed Al Khudairy si è limitato a dire che la banca di cui è presidente, la Saudi National Bank, non avrebbe messo altri soldi nell'istituto elvetico in difficoltà: «Abbiamo quasi il 10% del capitale, se si supera questa quota bisogna affrontare una serie di complicazioni regolatorie. Quindi non lo faremo».

Tanto è bastato per spaventare gli investitori e aprire la crisi. E l'impressione è che l'affabile Al Khudairy non si rendesse nemmeno conto dei rischi che la sua affermazione comportava. Quanto all'investimento, in passato l'aveva definito «opportunistico». Come dire: cercheremo di ricavarci più soldi possibile, ma non fa parte delle nostre priorità strategiche.

Nell'autunno scorso, quando l'istituto di credito saudita aveva deciso di dare una mano ai banchieri svizzeri investendo nel gruppo zurighese più di un miliardo di dollari, la stampa internazionale aveva scritto che uno dei simboli della Confederazione era stato salvato dagli sceicchi. Ma gli sceicchi, come gli investitori di tutto il mondo, si comportano secondo la propria convenienza. Tanto più se sanno di avere il coltello dalla parte del manico. E mai come in questo momento gli investitori del Medio Oriente viaggiano sulla cresta dell'onda, visto che sono in grado di mettere in campo colossali quantità di denaro.

La Saudi National Bank, prima azionista del Credit Suisse, è nonostante il nome una banca di diritto privato, anche se è controllata dal Public Investment Fund (fondo statale saudita) e personalmente dal Principe ereditario Mohammed Bin Salman. Nonostante si tratti del più grande istituto di credito del Medio Oriente, le sue dimensioni impallidiscono di fronte a quelle del già citato Public Investment Fund, che ha un patrimonio di oltre 600 miliardi di dollari. Ancora più grandi (con asset rispettivamente per 790 e 750 miliardi) sono i fondi di investimento statali di Abu Dhabi e Kuwait. Appena più piccolo, invece, il fondo (460 miliardi) del Qatar che, con il 6% circa, è anche secondo azionista del Credit Suisse.

Complessivamente una potenza di fuoco finanziaria impressionante, che con l'invasione dell'Ucraina è cresciuta giorno dopo giorno, con prospettive ancora migliori per il futuro. L'aumento dei prezzi energetici successivo allo scoppio del conflitto è stato una manna per i produttori di petrolio e di gas naturale; l'esclusione dal mercato internazionale, via sanzioni, di un concorrente importante come la Russia, una garanzia di utili copiosi nei prossimi anni.

La nuova ricchezza araba ha un simbolo: Aramco, la più grande compagnia petrolifera del mondo, al 98% di proprietà del governo saudita. Pochi giorni fa ha annunciato i suoi utili per il 2022: 161 miliardi di dollari. Un record assoluto: mai nella storia una società aveva guadagnato in un solo anno una somma del genere. Come insegnava il patron di Mediobanca Enrico Cuccia per la vita delle aziende: («Articolo quinto: chi ha i soldi ha vinto») l'abbondanza di liquidità si traduce automaticamente in potere. E c'è da aspettarsi nel prossimo futuro una maggiore assertività degli investitori arabi nella finanza europea. Qualche avvisaglia si è già vista.

Per l'acquisto del Manchester United appena messo in vendita, si è subito fatta avanti una cordata vicina all'emiro del Qatar (offrendo, pare, una cifra intorno ai 5 miliardi).

C'è un problema: attraverso il Qatar Sports Investment, guidato dall'emiro stesso, Tamim bin Hamad Al Thani, il Paese controlla già il Paris Saint Germain, altro club calcistico di lusso. Le partecipazioni incrociate sono vietate dalle norme della federazione internazionale, ma i potenziali investitori avrebbero trovato una soluzione: a guidare la cordata inglese è il fratello maggiore dell'emiro Jassim bin Hamad. Tutto in famiglia, dunque, ma la lettera della norma sarebbe rispettata.

E a sgomberare il campo da possibili obiezioni ci penserebbero, i soldi, l'influenza e il potere dei nuovi proprietari.

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