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Crisi sottomarini, Macron richiama gli ambasciatori

Diplomatici convocati da Washington e Canberra dopo il patto tra Usa, Australia e Gran Bretagna

Crisi sottomarini, Macron richiama gli ambasciatori

Arrivato mercoledì scorso come un pugno nello stomaco (Joe Biden si era guardato dall'informarne Xi Jinping nella loro recentissima telefonata, ma ha tenuto la bocca chiusa anche con gli alleati dell'Ue), l'annuncio della nuova triplice alleanza militare Aukus tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia non è stato ancora digerito né a Pechino contro cui palesemente è diretta né a Parigi che ne ha subito il contraccolpo più doloroso né a Bruxelles. E se il presidente americano ha il suo daffare per rabbonire gli alleati, ancora risentiti per non esser stati coinvolti sul ritiro dall'Afghanistan, quello cinese cerca di contenere la collera per una mossa che lo mette in difficoltà.

In Europa, il più arrabbiato di tutti è Emmanuel Macron che ieri sera, con una mossa clamorosa, ha richiamato «per consultazioni» gli ambasciatori di Parigi in Usa e Australia. L'intesa fra i tre Paesi di lingua inglese per la costruzione di sottomarini nucleari da destinare all'Australia ha comportato la rottura a tradimento di un lucrosissimo contratto, ma - soprattutto - la scelta di Biden e di Boris Johnson torna a evidenziare che l'America sarà anche tornata dopo i quattro anni orribili di Trump, ma lo fa trattando gli alleati d'Oltreatlantico come soggetti minori che devono prendere o lasciare le decisioni di Washington. In particolare, Macron sogna di diventare il fulcro di una futura difesa autonoma europea all'interno della Nato ma Biden, scegliendo l'asse con Londra, sembra giocargli contro.

Il presidente degli Stati Uniti, del resto, ha parlato chiaro. Nessun ridimensionamento della Nato, ma deve essere chiaro che i cambiamenti geopolitici impongono un rinnovamento. In altre parole, la Russia rimane senza equivoci un'antagonista dell'Occidente, ma il principale avversario è ormai la Cina, e il teatro dell'Indo-Pacifico diventa centrale: e qui dall'Ue arrivano più parole che fatti. Xi Jinping ha fin troppo mostrato i muscoli in quella regione ed è giunto il momento di reagire: se ciò non avvenisse, nei prossimi anni una Cina che ha già la Marina militare più potente del mondo e spende cifre immense in armamenti non potrebbe più essere contenuta. Oggi questo è ancora possibile: da qui la scelta americana di armare l'Australia, oggetto dello spionaggio e delle durissime pressioni economiche cinesi, di coinvolgere la Gran Bretagna che ha con Johnson una nuova e ambiziosa visione globale, di allinearsi con l'India e il Giappone preoccupati dal bullismo di Pechino e soprattutto di garantire la difesa di Taiwan, baluardo anche simbolico delle libertà occidentali nel mondo cinese.

E la Cina cosa fa? Falliti i tentativi di recuperare con Biden (che ben conosce la strategia espansionista del partito comunista cinese) i rapporti guastatisi nell'era Trump, Pechino, che definisce «estremamente irresponsabile» l'accordo, scopre ora la difficoltà di compensare con una propria alleanza quella duplice (Aukus più la Quad con Australia, India e Giappone) di cui dispone Washington. Xi ambisce a una stabile intesa con Russia, Iran e magari col Pakistan, ma nessuno di questi Paesi ha un vero interesse ad allinearsi con una Cina che (come la Russia) non conosce il concetto di alleanza, ma solo quello di dominio.

Cercherà dunque di sfilare dal campo occidentale qualche Paese allettato dal suo ricco mercato (Germania in primis, ma anche la strategica Nuova Zelanda), o intimidito dai suoi cannoni come la Thailandia o le Filippine: l'effetto Afghanistan «Ci si può fidare di Biden?» - potrà giocare a favore di Pechino.

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