È una vittoria che assomiglia a una sconfitta. Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell'Alta scuola di economia e relazioni internazionali della Cattolica, gioca col paradosso: «Gli indipendentisti hanno vinto, non c'è dubbio, e hanno ottenuto la maggioranza assoluta, ma gli unionisti hanno tenuto alla grande».
Il risultato?
«La Catalogna è spaccata in due. Si poteva pensare che la repressione attuata da Madrid avrebbe favorito i secessionisti, ma cosi non è stato».
Qualcuno al contrario ipotizzava un tracollo dei separatisti, travolti dai troppi errori commessi.
«I catalanisti non vanno né sopravvalutati né sottovalutati. Hanno giocato le loro carte, hanno mobilitato gli elettori, ma oltre questo non sono andati».
Formeranno un governo?
«Penso di sì, ci proveranno, ma sappiamo che i tre partiti hanno posizioni assai diverse l'uno dall'altro».
Prevede una coalizione rissosa e inconcludente che non riuscirà a capitalizzare i voti raccolti?
«Non lo so. Certo, la situazione era e resta complicata. Siamo allo stallo, fra Madrid e Barcellona».
Ci sarà pure una via d'uscita?
«Una prima cosa è sicura».
Quale?
«L'indipendenza i catalani se la possono scordare. Non è arrivata e non arriverà. Non la concederà Madrid, non la solleciterà l'Europa».
Ma allora siamo alla vigilia di una nuova crisi?
«Non è detto. Questo risultato deve convincere tutti quanti a riprendere il filo di una mediazione politica».
I leader della ribellione sono in carcere, come Junqueras, o in esilio come Puigdemont.
«È il momento di ragionare non sulla base del codice penale, ma per costruire un compromesso accettabile fra le parti. Non è pensabile che un'intera classe dirigente sia criminalizzata, processata e incarcerata. Se si vuole, una soluzione sul filo della legge si può sempre trovare. Spingendo intanto l'altra parte a seguire i binari dell'autonomia, senza inseguire il miraggio della repubblica di Catalogna».
In pratica tutti dovranno rinunciare a qualcosa?
«A cominciare dal premier Rajoy che è il grande sconfitto di questa tornata elettorale: i Popolari sono precipitati a 3 seggi. Un disastro. La storica affermazione di Ciudadanos fa capire che l'altra Catalogna sta con Madrid ma è contro il sistema».
Ma Rajoy non ha salvato l'integrità del Paese?
«No, la gente non è stupida e sa che è stato lui a innescare il conflitto che poi è sfuggito di mano a tutti. Rajoy ha fatto ricorso alla Corte costituzionale per bloccare alcuni aspetti dell'autonomia, soprattutto nel campo fiscale».
Uno sbaglio?
«Gravissimo, perché da Barcellona hanno risposto inventandosi il referendum che il premier è stato costretto a bloccare».
Ora?
«Adesso bisogna ritornare allo status quo precedente, all'autonomia che c'era prima del commissariamento delle istituzioni da parte di Madrid, anzi a un'autonomia ancora più ampia».
Le premesse non aiutano.
«Questa è l'unica strada percorribile. L'indipendenza è inimmaginabile, ma Rajoy deve fare i conti con i risultati delle urne. La crisi della Catalogna è in qualche modo la crisi di tutta la Spagna».
Certo, se allarghiamo lo sguardo, è tutta l'Europa che è in fibrillazione.
«La crisi colpisce ovunque, le certezze di un tempo svaniscono e i politici non trovano il bandolo della matassa».
Da Vienna a Parigi le urne sono diventate una roulette russa?
«Il disagio cresce, i leader
balbettano e la protesta si incanala seguendo le offerte di mercato. A Parigi brilla Macron, a Vienna soffia il vento della destra, a Barcellona si sogna il distacco da Madrid. L'Europa scricchiola e sbanda. Di qua e di là».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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