Mondo

Crollo Macron, il presidente è zoppo

"Ensemble!" perde la maggioranza assoluta. Boom di Le Pen. Borne: "Paese a rischio"

Crollo Macron, il presidente è zoppo

Cadono le prime teste del governo francese nominato appena un mese fa da Emmanuel Macron. È la ghigliottina delle urne, per il rinnovo dell'Assemblea nazionale, a dare un verdetto inedito: la coalizione del presidente ieri non ha ottenuto l'auspicata maggioranza assoluta (289 seggi su 577), ma solo relativa, e pure stretta con appena 224-230 deputati secondo le prime proiezioni. A un mese dall'insediamento, la doccia fredda espone immediatamente il secondo mandato Macron all'incertezza. E premia invece la tenacia del tribuno della gauche, Jean-Luc Mélenchon (che vede la «sua» alleanza verde-socialista-comunista affermarsi come prima forza d'opposizione: tra 170 e 190 seggi, lui non era in corsa); dei lepenisti, che registrano un risultato storico (tra 80 e 95 deputati, tra cui Marine Le Pen), davanti anche ai neogollisti Républicains, fermi tra 58 e 65 seggi con i centristi.

Il rischio ingovernabilità è dietro l'angolo. La stessa premier Elisabeth Borne, dopo aver parlato di «Paese a rischio», ha evocato una specie di governo di larghe intese, lanciando un appello alle forze «di buona volontà» a «unirsi» per «costruire una maggioranza d'azione», anche con «compromessi». L'estrema destra, dai soli 8 seggi del 2017, avrà un gruppo parlamentare autonomo per la prima volta nella storia e la possibilità di mettere in difficoltà il governo nei prossimi 5 anni. «Il popolo ha inviato un segnale chiaro, basta al partito unico, faremo opposizione ferma ma responsabile e costruttiva», annuncia la nuova (più mite) BleuMarine. La gauche potrebbe invece formare un inter-gruppo, preservando i vari cartelli di provenienza e spacchettando le preferenze.

L'architettura di governo esce ammaccata dai ballottaggi: crollata come mattoncini Lego sotto la pressione della gauche. Tra i primi sconfitti, la ministra Brigitte Bourguignon (fresca di nomina alla Sanità) e altri «baroni» come il presidente uscente della Camera, Richard Ferrand. Dovranno lasciare la macchina operativa dell'Eliseo o il governo, come promesso da Macron. Prima «bocciata» era stata la sottosegretaria con delega al Mare, Justine Benin. Entrambe le opposizioni sono cresciute fino a mettere ko pesi massimi di Ensemble. Mélenchon, pur un po' deluso, annuncia: «Non sarò primo ministro ma primo oppositore, c'è la disfatta totale del partito del presidente, la Macronia è stretta nella morsa tra Nupes e Rassemblement national». Effettivamente Macron avrà una maggioranza esposta al fuoco delle opposizioni. La portavoce dell'esecutivo sdrammatizza: «Speravamo di fare meglio ma siamo comunque in testa». Lo scenario sembra in grado di ingolfare il motore delle riforme. Ci sono i presupposti per assistere a una ri-parlamentarizzazione del sistema, che in Francia dal 2002 si è via via affievolita in favore di un iper-presidenzialismo. Il tilt cambia tutto. E se in passato Macron ha mostrato di sapere gestire certe defezioni, ora dovrà pensare a una maggioranza a elastico, che poggi su certi neogollisti (all'opposizione ma aperti a votare caso per caso).

In 26 milioni hanno disertato le urne. Non un record, astensione più bassa rispetto a 5 anni fa. Il 21 giugno termina la legislatura, il 28 la prima seduta a Palazzo Borbone con l'elezione del presidente della nuova Assemblée.

E si vedranno già lì i primi esiti di inevitabili negoziati.

Commenti