Csm, la Lega non molla sugli emendamenti. Il Pd insorge: "Fiducia"

Cade il tentativo di farli saltare, dice no pure Iv. C'è tempo sino a stamattina, riforma in Aula

Csm, la Lega non molla sugli emendamenti. Il Pd insorge: "Fiducia"

Rimangono ingombranti al Senato quegli oltre 200 emendamenti alla riforma Cartabia sul Csm. Alle 11 la Guardasigilli cerca di spazzarli via dal tavolo in una riunione di maggioranza con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà, ma non ci riesce. Non accettano di ritirarli la Lega, che ne firma 61 e Italia Viva, che ne ha 88. Loro s'impuntano e si accodano M5S e Leu. A raccogliere l'invito della ministra è solo Forza Italia, con le 2 modifiche del testo approvato alla Camera il 26 aprile scorso, mentre il Pd non ne ha presentate. E il Pd insorge: Letta a «Dimartedì»: «Lo dico a presidente del Consiglio e al governo: se continua così, l'unico modo per fare la riforma sarà mettere la fiducia al Senato e poi di nuovo alla Camera».

Così, nel pomeriggio si entra in Commissione Giustizia per votare in un clima di totale incertezza. C'è tempo solo fino a stamattina, poi la riforma va in aula. Escluso dal governo il voto di fiducia, una terza lettura a Montecitorio impedirebbe il mese prossimo di andare alle elezioni del Csm con il nuovo sistema. E a 3 anni dallo scandalo Palamara sui traffici dalle correnti, sarebbe una sconfitta della politica. La Lega, però, ha deciso di essere fedele allo spirito dei referendum. Spiega Giulia Bongiorno al Giornale: «Di rinunciare ai nostri emendamenti non se ne parla, sono in linea con i quesiti referendari e, malgrado parlino di un flop, noi vediamo 5 vittorie del sì e vogliamo migliorare il testo, in particolare sulla separazione delle carriere, questa è la funzione del Parlamento. Malgrado le richieste insistenti di rinunciare andiamo avanti, poi vedremo chi li voterà». I toni della responsabile Giustizia del Carroccio non sono minacciosi, anzi precisa che il suo partito «non critica il ministro per il quale c'è stima e ribadisce il sostegno al governo». Insomma, si potrebbe agire come a Montecitorio quando i leghisti si sono votati i loro emendamenti, ma alla fine hanno votato il testo così com'era. «Il referendum ci ha detto che gli italiani vogliono far lavorare il Parlamento - spiega il presidente della Commissione Andrea Ostellari -, la battaglia sulla degenerazione delle correnti è giusta». Gli altri leghisti in Commissione, il capogruppo Simone Pillon, Emanuele Pellegrini, Pasquale Pepe e Francesco Urraro, ricordano che 10 milioni di italiani hanno votato i referendum ed è «necessaria una svolta».

Con Iv c'è sintonia, la stessa sensibilità garantista e i renziani sono arrivati all'astensione alla Camera. «È stata una riunione abbastanza tesa - racconta Giuseppe Cucca, capogruppo in commissione-, crediamo che i nostri emendamenti restino l'unico modo per migliorare una riforma che se restasse così com'è sarebbe totalmente inutile».

L'azzurro Giacomo Caliendo, invece, spiega al Giornale di aver risposto a Marta Cartabia che crede nei suoi emendamenti, ma li ritira perché si rende conto che «non si può rinviare all'anno prossimo questa riforma, con le elezioni al Csm alle porte e dunque bisogna approvarla è solo dopo si potranno fare alcune modifiche». Avverte la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi: «Sarebbe irresponsabile se qualcuno decidesse di far saltare l'accordo». E in serata il segretario Letta chiede la fiducia.

In Commissione, la conta dice che non ci dovrebbero essere problemi, mentre in aula potrebbero esserci sorprese.

Enrico Costa, vicepresidente di Azione, che segue la vicenda dalla Camera dove ha lavorato molto al testo, è ottimista. «Solo una sceneggiata - dice al Giornale - gli emendamenti non passeranno, perché il patto non scritto in maggioranza è che la riforma rimarrà quella».

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