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Díaz Ayuso, la giocatrice d'azzardo che spinge Iglesias fuori dalla politica

La popolare ha riconquistato Madrid rischiando forte su dimissioni e Covid. L'"Indignado" al governo ha perso voti

Díaz Ayuso, la giocatrice d'azzardo che spinge Iglesias fuori dalla politica

A quarantott'ore dalle elezioni comunitarie, a Madrid non è passato il terremoto politico che ha scosso la regione. La riconferma della popolare Isabel Díaz Ayuso è un trionfo che vale quasi un plebiscito: il 44 per cento delle preferenze, 65 seggi che con i 13 di Vox consentono di superare l'asticella della maggioranza assoluta fissata a 69, l'elogio del capo del Pp Pablo Casado, che vede in pericolo la sua leadership. E poi, il terremoto in casa degli ex Indignados, l'annuncio mesto, di uno dei suoi fondatori, Pablo Iglesias, con un viso rabbioso ma una dialettica educata, ha detto in tv di non voler essere «un ostacolo per il rinnovamento di Unidas Podemos».

Hanno vinto due donne, e si sapeva, ma non con questi numeri. Isabel, ex portavoce di Esperanza Aguirre, ex regina di Madrid. E ha vinto anche Rocío Monasterio, una delle politiche più odiate di Spagna perché visceralmente anticomunista. Ma il successo di Rocío si è vaporizzato davanti alla Díaz Ayuso, più credibile e più coraggiosa. Ha giocato d'azzardo, non solo chiedendo le elezioni anticipate in un momento delicatissimo, ancora in emergenza epidemia e con i Popolari disorientati, ma ha puntato su un deciso «no» al lockdown. Ha mantenuto aperti gli esercizi di ristorazione, quando tutte le comunità di Spagna li chiudevano e ubbidivano a testa bassa a Sánchez. Lei, invece, ha trasformato la crisi Covid in una battaglia tra comunismo e liberalismo, ha lottato contro Sánchez, ha sfidato tutti i numeri degli epidemiologi che la supplicavano di chiudere tutto, di ordinare agli spagnoli di restare a casa. No, Isabel, come una vera regina, si è accollata il problema e l'ha risolto. Ha compreso che se si chiudevano in modo chirurgico solo le zone ostaggio del virus, si poteva riaprire il centro, con le sue attrazioni turistiche, e poi i bar dei quartieri a basso contagio. E ha vinto: nessuna impennata di contagi, rischiando in una regione che un anno fa piangeva cinquecento morti al giorno per Covid e aveva il sistema sanitario al collasso. E ha abbassato le tasse: non promesse da comizio ma fatti. Ha aiutato economicamente i ristoratori, ha eliminato per due anni tutte le gabelle su immondizia, occupazione suolo, insegne. E li ha fatti riaprire, giocandosi la faccia. Da settimane nei bar di Madrid e dintorni campeggia il suo volto con scritto «Gracias, Isabel!».

Diversa la parabola di Pablo Iglesias. Gli resta l'unico merito della coerenza politica delle dimissioni. Pensava di strafare, rinunciando alla potente carica di vice premier, per diventare il re di Madrid. Ma i suoi voti sono confluiti tra le mani di Más Madrid e socialisti. Eppure Pablo ci credeva, ricominciare dalla capitale per fare della Spagna una repubblica socialcomunista, liberarsi della Corona e dell'estrema destra.

Tornerà a insegnare, a scrivere saggi, a fare il papà.

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