Elezioni politiche 2022

Dai grandi segreti della procura antimafia ai seggi di sinistra. Tutte le "toghe rosse" entrate in politica

Ad aprire la strada verso la militanza partititca sono stati Grasso e Roberti con il Pd. Ora è il M5s a intestarsi la bandiera della legalità attingendo dalla Dna, l'ufficio creato da Falcone

Dai grandi segreti della procura antimafia ai seggi di sinistra. Tutte le "toghe rosse" entrate in politica

Dai vertici dell'antimafia, alla pensione, alle elezioni. Continua la fascinazione della politica verso la magistratura e viceversa. Soprattutto per quella che ha sede in via Giulia, alla Direzione nazionale antimafia, il tempio voluto da Giovanni Falcone che coordina le indagini condotte dalle singole Direzioni distrettuali e dove si trova la banca dati di tutte le inchieste sulla criminalità organizzata. Ufficio apicale con funzione delicatissima e conoscenza di un patrimonio informativo unico. Eppure da un decennio, chi ne è a capo transita, dopo la pensione, in politica.

Ad aprire la strada dalla super-procura al Parlamento sono stati, con la sinistra, Pietro Grasso e Franco Roberti. Ex magistrati di peso, entrambi al vertice della Dna, andati in quiescenza e poi candidati. Grasso era già stato giudice estensore della sentenza del maxi processo a Cosa Nostra, parlamentare del Pd e poi presidente del Senato, ed eletto cinque anni fa con Leu. Questa volta escluso, almeno per ora, dalle liste di Letta. Anche Roberti era stato procuratore nazionale prima di essere, nel 2019, eletto europarlamentare del Pd. Ora è il Movimento cinque stelle a intestarsi la bandiera della legalità e dell'antimafia mettendo in campo Federico Cafiero De Raho, che al vertice della Dna ci è stato fino a sette mesi fa. Ora è candidato nel listino bloccato di Giuseppe Conte. Così come Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo andato in pensione a gennaio. Per lui si parla di un collegio in Sicilia, dove ha svolto tutta la sua carriera. Scarpinato è sempre stato vicino alla corrente di sinistra di Magistratura democratica, ha condotto inchieste sulle stragi dalle procure di Palermo e Caltanissetta. Per De Raho sarebbe possibile la candidatura in Calabria, dove è stato procuratore (a Reggio Calabria) prima di arrivare alla Direzione nazionale antimafia, oppure nella stessa Napoli, dove era già stato procuratore aggiunto, seguendo tutte le più importanti inchieste di camorra. Il Movimento punta sulle due toghe che hanno legato il loro percorso alla lotta contro la criminalità organizzata e ai processi sulle stragi di mafia guardando anche al loro consenso nel meridione. A costo di mettere a rischio polemica profili che fino a pochi mesi fa erano super partes e che ora vengono prestati alla competizione elettorale senza un periodo di decantazione.

E del resto la contesa rischia di essere anche quella tra ex colleghi, visto che in campo ci sono magistrati già scesi in politica come Luigi De Magistris e Antonio Ingroia, dimessosi dalla procura di Palermo già nel 2012, dopo aver avviato le indagini sulla trattativa. Era in politica da tempo e il 25 settembre correrà con Italia sovrana e popolare.

Attacca Fratelli d'Italia: «La sinistra propone nelle liste i nomi di importanti magistrati in pensione, altro che terzietà della giustizia. Il M5s ha una passione per i magistrati antimafia. Ho già proposto una commissione di inchiesta che verificasse il ruoto di potenti magistrati passati nelle file del Pd». Ribattono i grillini: «Mentre nei Palazzi si compongono liste piene di impresentabili o di vecchi dinosauri della politica, il Movimento schiera il meglio della società civile candidando chi ha combattuto la mafia in prima linea».

Nel centrodestra circola il nome di Carlo Nordio, già procuratore aggiunto a Venezia, corteggiato da Fratelli d'Italia, che lo volevano per il Quirinale. Sono comunque lontani i tempi in cui in Parlamento sedevano tante toghe. Un'era iniziata sulla scia di Mani Pulite. Ora gli uscenti sono solo tre.

Oltre a Grasso, già in pensione, Cosimo Ferri, finito nello scandalo Palamara, già sottosegretario alla Giustizia in tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni), eletto nel 2018 alla Camera con il Pd e poi passato con Italia viva, e Giusi Bartolozzi, Forza Italia.

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