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Dai vescovi ai leghisti è un assist per il no. Il Pd decide cosa fare

Il vice della Cei: "L'equilibrio dello Stato non va manomesso". Borghi: M5s a casa

Dai vescovi ai leghisti è un assist per il no. Il Pd decide cosa fare

Il fronte del No al referendum per il taglio dei parlamentari si fa sempre più ampio. Ora anche monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, pur tenendosi fuori da indicazioni specifiche di voto ai cattolici dice con chiarezza: «E' un passaggio delicato, se dovesse essere manomesso l'equilibrio dello Stato. Ma spero e mi auguro che sia volontà del legislatore, se fa un intervento in un senso, intervenire anche per lasciare sempre in equilibrio l'ordinamento».

Insomma, votare con convinzione, ma senza stravolgere la Costituzione . Il tutto mentre i giuristi democratici ribadiscono la loro contrarietà «alla riduzione del numero dei parlamentari» perché in assenza «di una legge elettorale proporzionale, il taglio arbitrario inciderebbe sulla rappresentanza territoriale, che sarebbe pressoché esclusa in alcune regioni». Il fronte del No si fa sempre più ampio anche tra i partiti. Dopo la presa di posizione del leader azzurro Silvio Berlusconi, ora anche molti leghisti escono allo scoperto, tra cui l'economista Claudio Borghi. Matteo Salvini è impegnato nella campagna elettorale per le Regionali e gli conviene, visto che per la Toscana i sondaggi darebbero la candidata del centrodestra, Susanna Ceccardi, ad appena mezzo punto di distanza da Eugenio Giani, cavallo di battaglia della sinistra. Ma il segretario del partito del Carroccio lascia comunque campo libero ai suoi. «Ho sentito Salvini - chiarisce Borghi - e spiegato le mie ragioni, dicendo con molta chiarezza che non era certo un attacco alla Lega. Matteo ha capito». Quello del leader del Carroccio, prosegue Borghi, «è un Sì coerente rispetto ai voti dati dalla Lega in aula; poi mi pare chiaro che lui abbia lasciato libertà di coscienza». E spiega che riducendo «il numero dei parlamentari si danneggia la rappresentanza dei cittadini e si favoriscono i poteri forti. Sarebbe il sogno della tecnocrazia». Cosa estremamente probabile è che l'onorevole non sarà l'unico leghista che voterà No al referendum. «Sono convinto - spiega - che ce ne siano altri, diciamola così».

Diversi, in effetti, i parlamentari leghisti che opterebbero per la stessa scelta di Borghi: sarebbero tanti «i simpatizzanti leghisti» ad avergli «detto di voler votare No. Ho visto, tra i tanti, un post del consigliere regionale della Lombardia Gianmarco Senna».

Granitica resta invece la posizione di Fratelli d'Italia che voterà certamente Sì al taglio dei parlamentari. Tra i pochi che optano per posizioni differenti Guido Crosetto, che spiega la sua scelta. Ma, tengono a chiarire dal partito guidato da Giorgia Meloni, lo ha fatto «in un tweet».

«Io credo - prosegue Borghi - che nessuno incasserà nulla se vince il Sì. La prevalenza dei No invece avrebbe l'effetto di un sisma: archivieremmo l'era dei 5S e della cialtronaggine contrapposta alla democrazia. Ed è evidente che un No, unito alla sconfitta del Pd alle Regionali, farebbe cadere anche il governo». Il leghista tiene comunque a specificare che «a differenza di quanto scritto da Repubblica» non è la sua «prima motivazione il votare il No quella di mandare a casa il governo. Ce ne sono molte altre. E poi credo - conclude - che converrebbe anche al Pd».

E se nella Lega c'è chi dice «No», in Forza Italia c'è chi dissente dalle posizioni ufficiali, come la deputata Laura Ravetto, che voterà Sì e si auspica che il Cav «dia indicazioni per la libertà di voto». Chi invece deve ancora scegliere che linea da seguire è il Pd. La direzione è stata convocata lunedì 7 settembre. Lo ha deciso la segreteria dem, convocata dal segretario Nicola Zingaretti, che ha lanciato un ultimatum al M5S sul legame tra il Sì al referendum del 20 e 21 settembre e l'approvazione rapida della nuova legge elettorale.

«Basta trucchi e furbizie, gli accordi si rispettano».

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