"D'Alema attacca i cronisti ma ce l'ha con Woodcock"

Il suo braccio destro a Palazzo Chigi: "Coi giornali ha un rapporto morboso. Per lui bisogna 'lasciarli in edicola'. Anche sua madre non li sopporta. Ma da premier rimise tutte le querele"

"D'Alema attacca i cronisti ma ce l'ha con Woodcock"

Roma - «Massimo è un antico professore di liceo. Uno di quelli che quando ti interroga va a fondo, non si accontenta di risposte abborracciate. Per questo non sopporta la superficialità del giornalismo attuale». Fabrizio Rondolino ride quando gli chiediamo del D'Alema che minaccia di querele i giornalisti, lui che ne è stato responsabile della comunicazione, lui che ne è stato amico (spesso) e nemico (talvolta), lui che l'altro ieri si è preso anche la briga di ordinargli, per solidarietà, due casse di vino Madeleine («una di NarnOt e una di Sfide»).

Rondolino, va bene che noi giornalisti siamo spesso degli adorabili cialtroni. Ma lui non se la prende troppo?

«Ma lui sbaglia, perché se il sistema informativo è questo, la battuta di agenzia che dà il titolo, bisogna essere furbi e cavalcarlo. O ignorarlo, come fa Renzi, che non considera i giornali, per lui sono già morti, lo bastonano e fa finta di nulla, lui punta su tv e social network».

Proprio un bel quadretto...

«Lo aveva detto lo stesso D'Alema a Prima Comunicazion e negli anni Novanta: i giornali bisogna lasciarli in edicola».

Ecco, la profezia si avvera.

«Sì, ma per altri motivi».

Torniamo a D'Alema. Si ricorda qualche episodio?

«Sì, ma non d'ira, semmai di sarcasmo. Ricordo una giornalista che gli si avvicinò col microfono sguainato: “Segretario, posso farle una domanda?” E lui, gelido: “L'ha già fatta”. E si allontanò lasciando la collega con un palmo di naso».

Si racconta anche di una fatwah nei confronti di Augusto Minzolini quando era notista politico della Stampa.

«Io già non lavoravo più con D'Alema. Peraltro a me il Minzo sta simpatico. Ma quella volta avrà scritto qualcosa di antipatico o di terribilmente vero».

Un rapporto insanabile tra Baffino e l'informazione.

«Sì, ma nato da un amore tradito. D'Alema, da vecchio comunista, ha sempre avuto un rapporto morboso con la carta stampata. Antonio Gramsci fondò prima i giornali e poi il Pci. E non era Marx che diceva che il giornale è la preghiera mattutina dell'uomo moderno? No, mi sa che era Hegel».

Sì, Hegel.

«Che poi anche la mamma di D'Alema ce l'aveva con i giornalisti. La incontrai solo una volta e mi trattò come una persona poco affidabile».

Magari aveva ragione la signora. Ma scatti di ira mai?

«Non ricordo urla o porte sbattute. Non voglio fare psicoanalisi da bar, ma questo è uno dei suoi problemi. Lui è un vecchio illuminista, pensa davvero che la ragione sovrasti tutto. Da qui l'estremo autocontrollo, che si manifesta in quella postura sempre contratta. La mente controlla le passioni. Punto».

Una persona fredda.

«Ma no, poi non è affatto freddo. È timido, legato alla famiglia, ama la moglie. Ma questa sfera affettiva è sepolta dentro la corazza dell'illuminista».

Sa perdonare?

«Mettiamola così. Una delle cose che mi ha insegnato è che la battaglia politica non è mai personale. Lui le ha prese e le ha date non dico con fair play ma con l'atteggiamento del giocatore di scacchi che se perde non cerca scuse e pensa alla rivincita. Infatti quando diventò presidente del Consiglio, nel 1998, rimise tutte le querele, primo e unico a farlo. Da leader di una parte politica era diventato il presidente di tutti gli italiani e pensò a un gesto distensivo».

Ne rimise una anche a me.

«Che poi, lui, ora, mica ce l'ha con i giornalisti ma con la magistratura. Se la prende con la stampa perché non può prendersela con Woodcock che lo ha gettato in una vicenda in cui non è nemmeno indagato».

Con lei si è mai arrabbiato?

«Quando fallì la scalata alla poltrona di commissario europeo, per Europa scrissi un pezzo affettuoso in cui sostenevo che era la fine della sua carriera politica. Qualcuno glielo fece notare e lui: “Non mi occupo di giornali clandestini”».

Alla faccia dell'affetto. E in che rapporti siete ora?

«Ma dài, buoni; gli voglio bene, gli compro anche il vino».

Chieda lo sconto. Col caldo i rossi non si vendono più.

«Allora lo pretendo».

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