Finché ci si poteva permettere il lusso d'indulgere alla propaganda e allo scontro politico non era considerato un antidoto, ma, piuttosto, un pericoloso veleno. Ora che la realtà impone abbondanti dosi di «realpolitik» anche Sputnik V, il tanto vituperato vaccino anti Covid messo a punto nei laboratori della Gamaleya di Mosca, diventa un'indispensabile panacea. E a indicare la strada di un'urgente quanto indispensabile alleanza sanitaria con la Russia di Vladimir Putin ci pensa proprio quella Germania che ad agosto insisteva nel liquidare come improbabili gli entusiasmi di Mosca. «Non è sufficientemente testato», ripeteva allora il ministro della sanità di Berlino Jens Spahn mettendo in guardia chiunque confidasse nell'efficacia del vaccino russo. Neanche cinque mesi dopo scopriamo, invece, che la Germania di Angela Merkel è la prima nazione europea e occidentale ad aver affrontato, nel corso di colloqui tra lo stesso Sahn e il suo omologo di Mosca, la possibilità di una collaborazione con il Cremlino per la produzione comune di vaccini.
Il perché del brusco voltafaccia è presto spiegato. Fino a qualche mese fa la Germania era certa che i vaccini prodotti dalla sua BioNTech, in collaborazione con l'americana Pfizer, avrebbero garantito le richieste della popolazione tedesca e di parte di quella europea. Le cronache ci dicono invece che non solo i calcoli tedeschi, ma anche quelli dell'Europa e del resto del mondo peccavano di un eccesso d'ottimismo. Nonostante si sia fatta beffe degli accordi presi con Bruxelles procurandosi 30 milioni di dosi di vaccino in più rispetto alla forniture concordate con la Commissione Europea Berlino sta realizzando di non essere in grado di garantire la vaccinazione di tutti i propri cittadini. Nel resto dell'Europa e del mondo le cose non vanno meglio. Persino Israele sembra da qualche giorno in difficoltà. Protagonista, grazie all'eccellenza del suo sistema sanitario e all'abitudine alle emergenze, di uno sprint che ha permesso un milione 250mila inoculazioni in due settimane anche lo stato ebraico fa i conti ora con l'impossibilità di Pfizer/BioNTech di garantirgli nuove forniture mentre quelle promessegli da Moderna incominciano appena ad arrivare.
In America le cose vanno molto peggio. Le autorità sanitarie costrette a fronteggiare la disorganizzazione e le carenze di un personale sanitario falcidiato da una pandemia costata 350mila vite sono riuscite a garantire la somministrazione di solo 4 milioni e 200mila dosi di vaccino a fronte delle 20 milioni previste entro la fine del 2020. Un obbiettivo comunque irraggiungibile visto che il totale delle dosi disponibili non supera i 17 milioni e mezzo. In Francia dove la scorsa settimana soltanto 516 persone hanno accettato l'inoculazione il governo si misura con lo scetticismo di un' opinione pubblica considerata la più diffidente d'Europa rispetto ai vaccini. Ma se l'Occidente piange Mosca non ride. L'entusiasmo con cui il Cremlino annunciò l'arrivo delle prime dosi di Sputnik è stato seguito da una serie di crescenti difficolta produttive. Difficoltà riconosciute dallo stesso presidente Putin che già ad ottobre accennò a «problemi legati alla disponibilità o alla mancanza di macchinari indispensabili ad una produzione di massa». E alle parole del presidente erano seguiti gli annunci ufficiali dell'Istituto Gamaleya produttore dello Sputnik V che spiegava di aver rallentato il numero di somministrazioni in attesa di una maggiore disponibilità di seconde dosi del vaccino.
Insomma la pandemia sta facendo scoprire al mondo che di fronte ad un nemico come la pandemia l'unilateralismo non paga. L'estensione del contagio e i suoi numeri dimostrano infatti che neppure potenze come America, Russia ed Europa sono grado di garantire da sole un vaccino a tutti i propri cittadini e a tutti i propri alleati.
Da qui la «real politik» di una Russia e di Germania che - nonostante il recente durissimo scontro sul caso dell'avvelenamento di Alexei Navalny - sembrano pronte a unire le forze e raggiungere un'intesa per la produzione del vaccino.
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