Dall'operaio al calciatore i terroristi della porta accanto

Le storie dei musulmani italiani: cittadini insospettabili diventati guerriglieri e miliziani. Un libro racconta la realtà che fa più paura

RomaCalciatori, rapper, operai. Il terrore che non ti aspetti. I vicini di casa miti e sorridenti che non attirano l'attenzione ma sono cellule dormienti dell'Isis. Oppure fiancheggiatori. Oppure propagandisti della Jihad. A volte immigrati infilitratisi più o meno regolarmente all'uopo, spesso musulm-italiani di seconda generazione apparentemente integrati che magari raccontano alla famiglia di andare in vacanza con gli amici e invece vanno in Siria a combattere o a partecipare a stage di addestramento per poi tornare da noi a fare i bravi ragazzi kamikaze; a volte italiani convertiti, spesso i più integralisti. Ecco alcune storie, raccontate dalle cronache degli ultimi anni e dal fatidico testo «Il jihadismo autoctono in Italia» di Lorenzo Vidino, edito da Ispi.

Andrea Campione è un operaio in una fabbrica di cornici nelle Marche. Un giovane chiuso, fidanzato con una marocchina. Si converte all'Islam, cambia il suo nome in Abdul Wahid As Siquili, nel tempo libero sul suo pc scrive libri che inneggiano alla lotta jihadista, legge manuali operativi per la realizzazione di ordigni e attentati. La Digos lo arresta a 28 anni, nell'aprile 2012, mentre si appresta a lasciare l'Italia diretto in Marocco. O forse in Afghanistan per l'arruolamento e l'addestramento.

Mohamed Jarmoune è un ventenne di origini marocchine giunto in Italia all'età di 6 anni e cresciuto a Niardo, in Valcamonica. «In chiaro» è un operaio con il giro di amici, il bar e facebook. Nel chiuso della sua stanza tradurrebbe e divulgherebbe testi estremisti e manuali operativi e progetterebbe un attentato contro la comunità ebraica di Milano. Almeno così crede la procura di Brescia, che prima lo fa arrestare nel marzo 2012, quando ha vent'anni, e poi lo condanna a 5 anni e 4 mesi, che poi diverranno 4 anni e 8 mesi con lo sconto disposto dalla Carte d'Assise d'Appello.

Anas el Abboubi, marocchino cresciuto a Vobarno, sempre nel Bresciano. Studente che, pochi giorni prima della maturità, nel giugno 2013, è arrestato per addestramento con finalità di terrorismo internazionale e incitamento alla discriminazione e alla violenza. Ha un blog su cui inneggia al martirio, rappa «Voglio morire a mano armata». Dopo qualche giorno in cella viene scarcerato dal Tribunale per la libertà. Sparisce pochi mesi dopo. Forse è in Siria, forse chissà.

Mohammed Game è forse il più famoso dei terroristi homegrown , ovvero cresciuti in casa. Perito elettrocinico libico arrivato in Italia nel 2003.Una piccola impresa fiorente, poi qualcosa va storto e va in miseria. Quindi la radicalizzazione e , il 12 ottobre 2009, l'attentato: davanti alla caserma Santa Barbara di Milano Game fa esplodere un rudimentale ordigno di 4,6 kg che ha sottobraccio. Per fortuna l'esplosivo è così scadente che ferisce solo l'attentatore.

Luca Abdullah Nur de Martini è un professore del liceo Dettori di Cagliari. Glottologo, si converte all'Islam nel 2003. Nel 2012 viene indagato perché sospettato di essere uno dei punti di contatto tra la rete jihadista internazionale e quella italiana. Lui nega di avere mai inneggiato alla violenza definendosi un salafita che scrive e diffonde scritti filosofico-politici.

A.M.H.

, è cronaca degli scorsi giorni, è un calciatore di origine marocchina che gioca nello Stientese, squadra della provincia di Rovigo. All'indomani della strage di Parigi scrive sul suo profilo Facebook: «12 sono pochi» e «non mi piace perché è durato poco» e «quello dell'11 settembre era più bello». Perde il posto in squadra, ma non quello in Italia.

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