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"Danno irrecuperabile. Politica e giustizia inquinate da 25 anni"

L'avvocato: "Sette anni sono un periodo lunghissimo prima di chiedere chiarimenti"

"Danno irrecuperabile. Politica e giustizia inquinate da 25 anni"

Nessuna sorpresa. «Piuttosto - spiega Gaetano Pecorella, avvocato ed ex parlamentare azzurro - osservo che Strasburgo ha chiesto chiarimenti all'Italia dopo sette anni».

È strano?

«Sette anni sono un periodo lunghissimo, ancora di più per Berlusconi. Il tempo da questo punto di vista non è galantuomo: politicamente il danno è compiuto e non è più recuperabile. Poi c'è un altro aspetto: perché proprio adesso?»

La Corte dei diritti dell'uomo è ingolfata da centinaia di procedimenti.

«Spiegazione che non spiega. Io credo che la serie quasi infinita di scandali che sta travolgendo il nostro Paese abbia aperto gli occhi di quei giudici».

Pongono le stesse domande che interrogano l'opinione pubblica?

«Certo. Quando si legge che uno dei membri del collegio che condannò il Cavaliere, Amedeo Franco, è andato da lui per chiedergli scusa, si resta senza parole».

La procura di Roma è giunta ad altre conclusioni: Franco semplicemente avrebbe cercato di compiacere il Cavaliere.

«Ho letto questa ricostruzione che però non convince per nulla. I pm della capitale dicono che le ragioni di questo atteggiamento non sono comprensibili».

In effetti, il giudice è morto e non è così semplice capire a posteriori i passi del suo percorso. Davvero le parole della Procura di Roma non le bastano?

«No, è accaduto un fatto gravissimo, mai sentito nella storia della Repubblica, e lo si supera così, con una disinvoltura senza spessore. Mi pare, con tutto il rispetto, che questa interpretazione sia molto debole: Franco, a quanto ne sappiamo, non chiese nulla al Cavaliere, ma parlò con toni durissimi, evocando un plotone di esecuzione e pressioni per giungere a quella conclusione».

Quindi quelle di Strasburgo sono domande legittime?

«Mi paiono domande doverose: la giustizia è al centro di un conflitto lacerante dai tempi gloriosi di Mani pulite ed è giusto provare a capire».

Lei è parte in causa, visto che ha difeso Berlusconi per molti anni.

«Palamara non me lo sono inventato io. E Palamara descrive le commistioni fra politica e giustizia che hanno inquinato i processi e le nomine negli ultimi venticinque anni. Insomma, quello che sostiene Franco, vero o no che sia, va inquadrato in un contesto allarmante».

Che cosa è accaduto con Mani pulite?

«La magistratura, culturalmente orientata a sinistra, ha scardinato la prima repubblica, arrestandosi per una ragione o per l'altra sulla porta di Botteghe oscure e del Pci-Pds, l'unico partito salvatosi dal naufragio».

Insomma, sinistra e sinistra giudiziaria avrebbero agito a tenaglia?

«Gli schemi e le semplificazioni non mi appassionano, la realtà è sempre più complessa, però alcune dinamiche dovrebbero essere spiegate».

In concreto?

«Con Mani pulite la magistratura non è più uno strumento del potere politico, ma diventa essa stessa potere e qui comincia fatalmente la sua crisi».

Perché fatalmente?

«Perché chi conquista il potere poi non si accontenta di quello che ha, ma ne vuole sempre di più. È esattamente quel che è successo in questi anni e che trova conferma, per esempio, nella vicenda Amara e nel pellegrinaggio di quei verbali da una procura all'altra. La magistratura che aveva messo ko la politica si è divisa in gruppi che si sono azzannati l'un l'altro. E per lungo tempo l'unico collante che compattava le diverse anime in conflitto è stato proprio l'antiberlusconismo quasi militante e dichiarato. Un fenomeno su cui è giusto che Strasburgo indaghi. Poi anche quello non è bastato più e siamo arrivati alla guerra dei verbali di questi giorni.

Il punto più avvilente di un processo di degenerazione cominciato quando Di Pietro era l'uomo più potente d'Italia».

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