De Mauro, il delitto perfetto perduto nel mistero di Mattei

Il giornalista e l'imprenditore: un unico omicidio firmato da mafia e politica. Ma ancora senza colpevoli

De Mauro, il delitto perfetto perduto nel mistero di Mattei

Avrebbe compiuto cent'anni oggi: invece morì che non ne aveva neppure compiuti cinquanta. Di Mauro De Mauro, giornalista, non si conosce nemmeno la data esatta in cui venne ammazzato: lo portarono via sotto casa a Palermo, con la sua auto, senza che opponesse resistenza, la sera del 16 settembre 1970: e sapere se lo uccisero subito o se lo tennero prigioniero, lo interrogarono, lo picchiarono, sarebbe già un passo avanti per capire le ragioni del delitto. Invece neanche questo si sa. Come non si sa che fine abbia fatto il suo corpo, e da mezzo secolo i suoi parenti piangono un morto senza tomba.

Tre giornalisti sono stati uccisi in Italia sotto la Repubblica: uno per vendetta, Giancarlo Siani, ed è l'unico di cui si conoscano i colpevoli. Uno inghiottito dai suoi ricatti, Mino Pecorelli, per la cui morte Giulio Andreotti fu processato e assolto. E poi c'è lui, De Mauro: delitto irrisolto. Un solo processo celebrato, ad oltre trent'anni dal crimine: imputato era il capo dei Capi, Totò Riina, che venne assolto per insufficienza di prove. Oggi, nel centenario della nascita di De Mauro, si può solo dire che la sua eliminazione fu un delitto perfetto.

Perfezione, va detto, realizzata non tanto nel pianificare e nell'eseguire (lo aspettano sotto casa, mentre torna dal lavoro, a volto scoperto: e manca un nulla perché la figlia che sta rincasando non li veda in faccia) quanto dopo il delitto, nell'impedire che si scavasse davvero. Anche questa è a suo modo perfezione.

Perchè non si poteva scavare su De Mauro? Perchè da lì si sarebbe arrivati all'altro grande delitto irrisolto di quegli anni, la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei, schiantatosi nel 1962 col suo aereo a Bascapè, mentre tornava dalla Sicilia a Milano. La fulminea inchiesta ordinata da Giulio Andreotti liquidò lo schianto di Mattei come un incidente, e questa tesi tranquillizzante venne sposata da molti: compreso, nello svarione più grave della sua carriera, da Indro Montanelli. Oggi però sappiamo che De Mattei vene ammazzato; che un ordigno piazzato sotto la cloche del pilota Irnerio Bertuzzi durante la sosta in Sicilia dell'aereo esplose poco prima dell'atterraggio. Lo ha scoperto l'indagine bis compiuta nel '94 dal pm di Pavia Vincenzo Calia, andando a analizzare con le tecniche di oggi i reperti di allora. E su quello che restava dell'orologio di Mattei c'erano le tracce inequivocabili dell'esplosione.

L'inchiesta di Calia non arrivò ai mandanti politici del delitto; il pm pavese trasmise però a Palermo uno stralcio. Perchè scavando Calia aveva trovato le tracce nette di quanto i familiari di De Mauro avevano sempre sospettato, sulla base delle angosce confidate dal giornalista a ridosso della sua fine: che a costargli la vita fosse stato il lavoro che stava compiendo per il regista Francesco Rosi, il quale preparava un film proprio sulla morte di Mattei. Un lavoro in cui De Mauro si era tuffato a capofitto, imbattendosi in verità che gli sarebbero costate la vita. Di fatto, la morte di Mattei e di De Mauro sono un unico delitto, un unico grumo di segreti.

Sulla base delle carte arrivate da Pavia, a Palermo si riaprì il caso De Mauro, Totò Riina venne incriminato come capo della Cupola mafiosa, e venne assolto: ma i giudici attestarono due certezze, che «De Mauro è stato ucciso da uomini appartenenti a Cosa Nostra, e che l'omicidio s'inscrive a pieno titolo nel filone dei delitti politici» perchè «alla genesi della deliberazione omicidiaria non è estranea una parte del mondo della politica e delle istituzioni».

Nelle pagine della sterminata sentenza, la deposizione (decisamente tardiva) dell'ex pm palermitano Ugo Saito, che un giorno chiese a Boris Giuliano, capo della Mobile di Palermo, come andavano le indagini: «Giuliano manifestò il suo stupore per il fatto che io non ero a conoscenza della circostanza che a "Villa Boscogrande", un night Club in località Cardillo, vi era stata una riunione alla quale avevano partecipato i

vertici dei Servizi Segreti e i responsabili della Polizia Giudiziaria palermitana. In tale riunione fu impartito l'ordine di "annacquare" le indagini».

Pochi anni dopo, il 21 luglio 1979, ammazzarono anche Boris Giuliano.

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