De Pasquale, il magistrato testa d'ariete che lanciò l'assalto al premier forzista

Fu lui a far ricorso alla Consulta e far partire l'attacco concentrico. Colleghi, giornali, intellettuali: tutti contro lo "scudo" parlamentare

De Pasquale, il magistrato testa d'ariete che lanciò l'assalto al premier forzista

Ora che la sua carriera rischia di naufragare tra procedimenti disciplinari e rinvii a giudizio, almeno due pregi vanno riconosciuti - a mo' di onore delle armi - al dottor Fabio De Pasquale. Il primo è di essere dotato di una onestà personale al di sopra di ogni sospetto: tale che anche l'insinuazione che alcuni figuri del «caso Eni» gli riservano in una intercettazione è stata universalmente liquidata come fango. Il secondo è di essere mosso da una buona fede altrettanto granitica. Ogni qualvolta De Pasquale è partito all'attacco, a spingerlo c'era - insieme all'ambizione professionale, al furore agonistico, forse a una umanissima vanità - anche una cristallina convinzione di essere dalla parte del giusto. I potenti che finivano nel suo mirino, da Gabriele Cagliari a Silvio Berlusconi ai top manager dell'Eni, hanno di volta in volta incarnato per lui una sorta di male assoluto.

Poi però c'è il resto, che di questa tetragona convinzione di essere nel giusto, della totale (e un po' inquietante) assenza di dubbi è a suo modo figlia. L'episodio su cui si concentra il passaggio dedicato in Lobby&logge al baffuto pm messinese è un buon esempio di questo approccio muscolare al processo penale. Quando De Pasquale si rende conto che il «lodo Alfano» rischia di essere l'iceberg contro cui va a sbattere il processo per frode fiscale al Cavaliere, impugna l'arma del ricorso alla Corte Costituzionale. Certo, lo fa perché è intimamente convinto della illegittimità della norma. Ma anche perché è consapevole che ad affossare il lodo è pronta a intervenire una moltitudine di soggetti diversi, dai giornali liberal ai giuristi democratici, e che nella Consulta ci sono orecchie pronte ad ascoltare le ragioni degli indignati. «Depa», come lo chiamano in Procura, sa che la battaglia è vinta in partenza. E che la Consulta gli aprirà la strada per portare fino in fondo il processo all'odiato Cav. Risultato raggiunto: il 25 ottobre 2012, in un'aula stipata all'inverosimile, arriva la condanna di Berlusconi a quattro anni di carcere.

Da lì in poi, tutto cambia. De Pasquale diventa per un pezzo d'Italia, anche più di quanto lui stesso lo desideri, un simbolo della lotta al Cav. L'autostima che già era solida, e ai tempi di Mani Pulite lo portò a rifiutare l'arruolamento come ragazzo di bottega del pool, dalla vittoria del processo a Berlusconi si rafforza ulteriormente. Si apre la caccia a un obiettivo più alto. Ma cosa c'è di più alto di un premier? Risposta ovvia: l'Eni, il colosso fondato da Mattei, uno Stato nello Stato che in giro nel mondo conta più della Farnesina e di Palazzo Chigi. E che però, nelle carte di De Pasquale, rastrella petrolio corrompendo a destra e manca: Algeria, Congo, Nigeria, Kazakistan.

Per «Depa» è la battaglia finale, quella che dalle storielle colorite di film strapagati del processo al Cav, lo catapulta nel mondo della finanza internazionale, dei ministri, delle multinazionali. Riesce a farsi creare un dipartimento su misura.

E a quel punto, dicono ora le accuse della Procura di Brescia, perde il senso di ciò che si può e non si può fare.

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