Il degrado e l'orrore non sono solo dell'Isis

di Stefano Zurlo

Il Tevere e il tram che sfiora la Bocconi. Aggressioni, coltellate, un corpo che cade in acqua. Un morto a Roma, un ferito grave a Milano. Il cuore delle due metropoli teatro di scorribande feroci e insensate. Nella Capitale l'assassino è uno sbandato italiano, ma dietro ci sarebbero una serie di feroci concause. Altri balordi, forse stranieri, senza arte né parte, ma con una cattiveria esplosiva in corpo. Cosi un giovane americano di 19 anni muore dopo una rissa, forse nel tentativo di recuperare il portafoglio rubato.

Nella città dell'Expo invece ad agire sono i famigerati latinos che massacrano, mutilano, devastano. A Milano sono già morti 4 ragazzi in questi anni di barbarie dai ritmi sudamericani. Certo, nei giorni scorsi tutta l'attenzione era rivolta a Dacca. Il terrorismo jihadista fa paura e tutti ci siamo immedesimati nei nove italiani che si sono ritrovati a morire in un ristorante senza un perché. Terribile.

La violenza che arriva dal Califfo, e prima ancora da Al Qaida, è qualcosa che ci sconvolge e rende infide le nostre vite globali. Impossibile ormai ciabattare in bermuda in un resort della Tunisia o del Sinai. Ciascuno di noi fa gli scongiuri salendo su un aereo o entrando in un aeroporto, da Parigi a Istanbul. Vero. Purtroppo. Ma poi c'è quell'altra striscia di delitti che profana i nostri storici quartieri e sporca la convivenza a chilometro zero. Sono tanti i padri di questo disastro: il degrado, l'immigrazione incontrollata e a tratti clandestina, il malfunzionamento della giustizia, la non certezza della pena. Le nostre strade diventano sempre più insicure, pericolose, difficili. Ciascuno di noi può ritrovarsi dentro una rapina, testimone di una spedizione punitiva, protagonista suo malgrado di un giallo senza lieto fine, come è successo allo sfortunato Solomon, arrivato dal Wisconsin per uno stage universitario. E ritrovato cadavere.

Certo i kamikaze, le cinture esplosive e le grida in arabo diffondono una sorta di marchio globale del terrore che si imprime dentro di noi. I bollettini di guerra che arrivano quotidianamente dalle nostre periferie, ma non solo, ci scivolano chissà perché addosso. Forse perché questa violenza non ha un brand e non va in rete, non luccica sulle prime pagine del mondo intero, non scatta quei selfie spaventosi con le membra delle vittime. Ma è altrettanto crudele, viscida, traditrice. Solo che si manifesta al ponte Garibaldi o sui binari del 15, nei luoghi della nostra routine, da sempre familiari e però macchiati dal disordine, dall'arretrare delle forze di polizia, dalle mille insidie del male. L'inganno striscia come un serpente sui nostri marciapiedi e sulle nostre strade. Non viene raccontato dalle copertine dei Tg, ma semina dolore e morte. Su questo versante, la criminalità senza bandiere assomiglia quella dell'Isis: la sua roulette è del tutto casuale. E imprevedibile.

Le giunte che si compongono in questi giorni in alcune grandi città italiane hanno promesso una lotta dura a malfattori di ogni colore. Speriamo di non rimanere delusi, fra promesse elettoralistiche e scenari sempre più lividi e noir. L'orrore di Dacca ci indigna, ma anche quello di Roma o Milano dovrebbe pungerci come uno spillo.

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