«Il Movimento 5 stelle non esiste più. Oggi sono diventati il partito di Di Maio». Federico Pizzarotti, da tempo fuori dal Movimento e ora candidato al Parlamento di Strasburgo con +Europa, la vede così da tempo. E probabilmente ha ragione. Sbaglia però su un altro punto: «Non c'è dissenso all'interno», aggiunge parlando in tv a Mezz'ora in più. L'inchiesta pubblicata ieri dal Giornale, svelando che solo un parlamentare su cinque a febbraio ha pagato i 300 euro a Rousseau, ha invece portato alla luce un profondo disagio tra i cosiddetti «peones» del Movimento.
E c'è di più. Per la prima volta, qualche componente della pattuglia dei parlamentari sta facendo sentire la propria voce. E, ancora più significativamente, critica il ruolo del potentissimo Davide Casaleggio, l'uomo che ha ereditato dal guru Gianroberto il ruolo nel Movimento e nella Casaleggio associati e poi se n'è ritagliato uno ad hoc nella nuova creatura Rousseau, innescando un conflitto di interessi tra attività imprenditoriale e influenza politica che appare inestricabile, visto che Casaleggio non è stato eletto da nessuno, nemmeno con uno straccio di voto on line, e i suoi ruoli sono blindati a suon di atti notarili.
La rivolta contro Rousseau, del resto, si accompagna alla manifestazione di un disagio più generale per la gestione burocratica della vita parlamentare del Movimento. L'opposizione interna c'è, ma non tocca palla. E quando ci prova con troppa insistenza finisce sulla lista nera, com'è successo a chi ha dimostrato più tenacia nel perseguire una certa indipendenza di pensiero: Elena Fattori, Paola Nugnes, Gregorio De Falco sono i nomi finiti sulla graticola. Ma ce ne sono molti altri che danno segnali di insofferenza crescente.
L'impressione, dopo un giro di colloqui con alcuni parlamentari, è che alla seconda esperienza parlamentare il Movimento abbia imbarcato personale politico di maggior spessore rispetto alle origini. E che queste persone, dopo aver creduto in buona fede alla battaglia anticasta, siano profondamente deluse da un sistema che le imbriglia in inutili procedure burocratiche gestite peraltro in modo piuttosto rozzo come accade con la piattaforma Rousseau, mentre le decisioni vengono prese altrove. E spesso non sono coerenti con i principi sbandierati dal Movimento.
La loro partecipazione alla battaglia politica, si lamentano i parlamentari grillini, è spesso imbrigliata dai bizantini obblighi di rendicontazione delle spese attraverso la piattaforma, che li espone anche a letture strumentali a critiche ingenerose da parte della base. E anche le restituzioni dello stipendio, spostate dal fondo del microcredito a un conto intestato a Luigi Di Maio, non aiutano la trasparenza.
«Non sono d'accordo con Pizzarotti -dice Walter Rizzetto, ex del M5s e ora deputato di Fdi- Qualche anno fa il legittimo dissenso era sicuramente più strutturato e meno timoroso. Quando c'era qualcosa da dire, ad esempio, l'ho sempre detta rifiutando categoricamente l'anonimato proposto da più di qualche giornalista.
Sino ad oggi, in seno a questa Legislatura, le cose sono andate bene per il M5S; ma temo che il problema per Di Maio sarà la gestione del gruppo in quanto noto, con piacere, che alcuni iniziano a firmare le loro dichiarazioni». Dopo le europee potrebbe arrivare il conto del malessere diffuso.
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