Depistaggio su Rigopiano: l'ex prefetto tra i 7 indagati

Sono accusati di aver nascosto una chiamata ricevuta dal centro di Coordinamento soccorsi della prefettura

Depistaggio su Rigopiano: l'ex prefetto tra i 7 indagati

Nuovo capitolo nella tragedia dell'hotel Rigopiano. La Procura della Repubblica di Pescara ha aperto un nuovo fascicolo su cui compare il nome dell'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, e altri 6 funzionari della prefettura.

I soggetti rispondono, a vario titolo, di frode in processo penale e depistaggio, per aver nascosto agli inquirenti la chiamata effettuata alle 11.38 della mattina del 18 gennaio 2017 dal cameriere Gabriele D'Angelo al Centro di coordinamento soccorsi della prefettura. Cinque ore dopo, D'Angelo morì insieme ad altre 28 persone nell'albergo distrutto dalla slavina e non si seppe più nulla di quella telefonata alla prefettura nella quale aveva chiesto supporto per ospiti e lavoratori dell'albergo rimasti bloccati a causa della neve.

Nell'inchiesta portata avanti dal Procuratore Capo Massimiliano Serpi e dal Sostituto Procuratore Andrea Papalia, con i carabinieri Forestali comandati dal tenente colonnello Annamaria Angelozzi, oltre a Provolo sono coinvolti gli allora viceprefetti distaccati Salvatore Angieri e Sergio Mazzia e i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva. Al centro del fascicolo il brogliaccio delle telefonate. Ma questo filone basato sul presunto depistaggio si aggiunge all'inchiesta principale che vede indagate 24 persone per reati che vanno dall'abuso d'ufficio, falso, e abusi edilizi, fino al disastro, le lesioni e l'omicidio colposi. Tra le persone coinvolte ci sono il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il presidente della Provincia, Antonio Di Marco, e il direttore del resort Bruno Di Tommaso. Il prefetto Provolo è indagato anche nella prima inchiesta perché secondo la Procura avrebbe attivato in ritardo le procedure indispensabili per liberare in sicurezza l'albergo prima della valanga. Tre i filoni del fascicolo principale, legati da una parte alla posizione dell'albergo, realizzato, scrivono gli inquirenti, in una zona «esposta a forte pericolo di valanghe», dall'altra all'emergenza neve che nelle 24 ore precedenti alla tragedia non venne affrontata come dovuto.

Da ultimo il nodo della Carta di localizzazione dei pericoli di valanga (CLPV) la cui realizzazione, approvata nel 1992 dalla Regione, non divenne mai effettiva.

Forse avrebbe potuto servire a scongiurare la morte delle 29 persone, che insieme ad altre 11 quel 17 gennaio 2017 rimasero bloccate a causa della nevicata, che rese impraticabili i 9 chilometri e 300 metri dell'unica strada che collegava l'hotel Rigopiano al paese di Farindola. Spaventate aspettavano da ore i soccorsi quando, il 18 gennaio, poco prima delle 17, la slavina distrusse tutto senza lasciar scampo.

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