
Alla Fondazione Feltrinelli, una mattinata di dibattiti e confronti. A partire dalle 9.30, si susseguiranno interviste e tavole rotonde condotte dalle firme più apprezzate del nostro quotidiano, con la partecipazione di prestigiosi protagonisti del mondo dell’impresa, della cultura, dell’industria e del tessuto produttivo. All’evento (qui la registrazione gratuita) il direttore Sallusti dialoga con padre Benanti. Partecipa anche il ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, intervistato da Hoara Borselli.
*** L'evento è ad accesso libero fino ad esaurimento posti previa iscrizione al link: https://shorturl.at/2iDM8 Per maggiori informazioni si prega di scrivere a eventi@ilgiornale.it
Si dice che un algoritmo sia una strada tracciata, qualcuno dice che sia una ricetta, un procedimento che indica come ottenere un certo risultando partendo da alcuni ingredienti. Il nome ha una storia lontana e un po' scombinata. È la traduzione sbagliata di un testo del nono secolo del matematico persiano Al-Khwarizmi: Regole di ripristino e riduzione. È un testo che insegna, anche ai posteri, quali mosse seguire per risolvere un problema. È un trattato di logica ritrovato e tradotto dai monaci benedettini prima dell'anno Mille. L'originale è andato perduto, ma per fortuna è rimasto il testo in latino, con questo titolo: Dixit Algorizmi.
Gli algoritmi insomma sono istruzioni per la macchina. Ma come si parla alla macchina? Fino a pochi anni fa si usava solo il linguaggio degli informatici, una sequenza finita di operazioni. L'uomo e la macchina parlavano così, poi qualcosa è cambiato. La macchina ha cominciato a capire la lingua comune degli umani, rispondendo a una babele di lingue. Sono arrivati quelli che ora chiamiamo prompt. Sono sempre ricette, istruzioni, ma non sono più scritte con la grafia dei medici, degli informatici, ma con quella di ognuno di noi. Miracolo: l'algoritmo è diventato di massa. Tutti possono parlare con la macchina. È la soluzione alla maledizione biblica della Torre di Babele. È l'umano che si ribella al caos generato dal cielo per frenare l'ambizione degli umani. Fino a dove volete arrivare?
Questo è il timore che insegue gli apocalittici. Adesso però da miscredente metti da parte la metafisica e guarda all'intelligenza artificiale per quello che è: uno strumento e una opportunità. La macchina non si limita più a ricevere istruzioni, ma dialogando con l'umano trova soluzioni personali per risolvere problemi. Pensa? Diciamo che ci prova. Sente emozioni? No, ma sta imparando a fingere bene. È affidabile? Come una bimba bugiarda e dispettosa: quello che non sa se lo inventa. Se però le istruzioni umane sono precise e dettagliate limita lo spazio di errori. È utile? Parecchio. È, combinata quando sarà con il computer quantistico, la più grande rivoluzione della storia. È uno strumento e bisogna essere bravi a usarlo. È come allevare cavalli, solo che i cavalli non fingono. Un cavallo ti riduce gli spazi e ti fa correre fino a Samarcanda per sfuggire alla morte e per paradosso poi incontrarla. I cavalli ti permettono di cambiare l'arte della guerra, come fecero i persiani per sconfiggere a Carre i romani del magnate Crasso. I cavalli danno aria al commercio e fanno guadagnare tempo ai mercanti. L'intelligenza artificiale ha molti predecessori, dalla ruota al nucleare, passato per i telai meccanici, il vapore, l'elettricità, il treno, il fordismo fino alla rete delle reti e ogni volta una svolta, una accelerazione, una paura, un chissà di che morte moriremo. Qui ci vuole come risposta un Mogol-Battisti da "lo scopriremo solo vivendo".
La paura più grossa è la fine del lavoro. Non ci abbiamo fatto troppo caso quando la macchina, robusta e precisa, rubava posti agli operai in fabbrica. Adesso che tocca i lavori intellettuali e da ufficio siamo tutti più preoccupati. Il rischio in effetti c'è. Le macchine si mangeranno lavori e quelli nuovi saranno minori rispetto ai vecchi. Sicuramente ci sarà più tempo libero per tutti. Non è detto che sia un bene. Ecco un po' di effetti collaterali non da poco. Cosa accade se i salari, non adesso, ma tra qualche decennio, diventano un lusso non per tutti? Cosa accade se a lavorare sono soprattutto le macchine? Il capitalismo così va in corto circuito: niente salari, niente consumatori. La soluzione è tutelare il lavoro umano, inventando nuove professioni. Se questo non accade la risposta più diretta è il reddito universale di cittadinanza. Solo che in questo caso è la democrazia a naufragare. Se non lavori, se non paghi le tasse, la rappresentanza non è più un diritto. Si ribalta la formula aurea della democrazia: No taxation without representation.
Il sussidio di Stato corrode la liberal democrazia e getta le basi per uno Stato autoritario. Ora questo è solo uno degli scenari possibili e senza dubbio è il più pessimista.
È un futuro dove le macchine vengono usate solo per creare profitti, la società occidentale, con il suo sistema capitalistico, non è mai stato soltanto questo. Non c'è capitalismo senza diritti umani (tranne che in Cina...).