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Difendete i gay dai loro difensori che si indignano a casaccio

Basta la battuta di un allenatore di provincia e scatta il coro degli indignati. Ma gli omosessuali sanno ridere di se stessi

Difendete i gay dai loro difensori che si indignano a casaccio

Quando il cosiddetto politicamente corretto si trasforma in una sorta di ossessione produce effetti da teatro dell'assurdo, umoristici, comici addirittura. L'ultimo caso registrato dalla cronaca ha dell'incredibile. Udite. L'allenatore dell'Arezzo, squadra di calcio che milita in Lega Pro (ex serie C), Eziolino Capuano, è stato messo in croce per avere dato delle checche ai suoi atleti, colpevoli di avere perso una partita con l'Alessandria al 93° minuto, cioè in fasi di recupero, praticamente a tempo scaduto.

Egli ormai era convinto di avere guadagnato un punto in trasferta e non si aspettava che la propria formazione all'ultimo momento si distraesse e subisse un gol. Ovvio che Eziolino (già il nome fa ridere) si sia incavolato con i suoi atleti e non li abbia elogiati. Di norma, in queste circostanze volano parolacce irriferibili. Ma Capuano, che è persona gentile e non usa un linguaggio da caserma, anzi da social network, al culmine dell'ira si è limitato a definire così i difensori dell'équipe soccombente: checche. Il significato è noto: persone effeminate oppure, estremizzando, omosessuali.

Mal gliene incolse. Se li avesse ricoperti di insulti, alla moda di Twitter (tipo: figli di puttana, brutte merdacce, teste di cazzo e roba del genere) nessuno probabilmente avrebbe reagito. Lo sfogo sarebbe stato considerato nei limiti della corrente maleducazione. Checche, no. Non si può dire perché il vocabolo non è offensivo se rivolto a un eterosessuale, ma potrebbe esserlo per gli omosessuali. Chi lo pronuncia rischia di essere accusato di omofobia. Capuano ne sa qualcosa, essendo stato non solo redarguito, ma addirittura minacciato di denuncia. Ora, mi rendo conto che anche uno legittimamente arrabbiato debba controllare il proprio lessico, ma, insomma, forse non merita di essere linciato mediaticamente e di passare per uno che odia i gay. Sono persuaso del contrario, e cioè che Eziolino sia un bravo uomo, il quale intendeva imitare Marcello Lippi, il trainer più famoso d'Italia, che ammonì i giocatori della Nazionale da lui guidati con bravura: occhio, ragazzi, il calcio non è uno sport da signorine. Un semplice biasimo diretto a giovanotti muscolosi che talvolta si comportavano da rammolliti.

Nessuno all'epoca - alcuni anni orsono - deplorò Lippi. Mentre contro Capuano si è scatenato l'inferno. Ecco perché affermo che col politicamente corretto si comincia a esagerare. Non ho sentimenti negativi nei confronti degli omosessuali e giudico i miei interlocutori per ciò che fanno in posizione eretta, disinteressandomi delle loro attività sotto le lenzuola, poiché sono abbastanza impegnato a badare alle mie. Mi sono perfino iscritto all'Arcigay per dimostrare che me ne infischio delle preferenze sessuali dei miei simili.

Precisato questo, ho l'impressione che si stia sbroccando: è lecito scherzare su tutto e su tutti (barzellette sui carabinieri, sui politici, sui preti, sui medici, persino su Dio, e non parliamo dei giornalisti), ma se dici una mezza parola faceta sui gay sei rovinato. Il problema, invece, è un altro. Poiché è ingiusto discriminare gli omosessuali, non si capisce perché costoro debbano essere esclusi dagli sfottò che regolarmente coinvolgono altre categorie, capaci di sorriderne o almeno di non farne una tragedia. La pari dignità si misura anche dal grado di accettazione delle burle. Prendersi in giro e sorridere è un segno di civiltà.

Caro Eziolino, non ti curar di loro.

I gay più avveduti e colti non hanno bisogno del politicamente corretto per non sentirsi diversi, perché diversi non sono.

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